Opinioni
15 ottobre, 2025Esistono donne che vanno criticate per le idee e per le azioni. E questo è il caso di Beatrice Venezi
Siamo al Teatro La Fenice. È il 27 maggio 1866, vigilia della terza guerra d’Indipendenza: il tenore (un grandissimo Gino Penno) canta la famosa cabaletta di Manrico nel Trovatore di Verdi. Sul do di petto finale, piovono volantini antiaustriaci sulla platea. Il resto è raccontato nel film Senso di Luchino Visconti, girato nel 1954 e dotato, come si intuisce, di notevole preveggenza.Siamo al Teatro La Fenice.
È il 27 settembre 2025, anno di guerre: al termine della sinfonia n. 6 "Tragica" di Gustav Mahler piovono volantini sulla platea. C’è scritto: «La musica non ha colore, non ha genere, non ha età: la musica è arte, non intrattenimento».
Ora, della questione che oppone gli e le orchestrali della Fenice al sovrintendente Colabianchi che ha nominato direttrice musicale stabile Beatrice Venezi si sono occupati commentatori di ogni provenienza, e tutte le grandi istituzioni musicali italiane hanno espresso solidarietà all’orchestra, perché non si può dirigere “contro”, ma si dirige “con”: a meno di non essere nell’amarissimo Prova d’orchestra di Federico Fellini, ma quella è un’altra metafora.Sembrerà tardivo, dunque, tornare su Beatrice Venezi dopo le grandi manifestazioni di piazza seguite al sequestro dell’equipaggio della Flotilla, e dunque dopo l’incredibile risveglio di corpi e passioni che ha coinvolto centinaia di città italiane. In realtà c’è qualcosa che accomuna la rivolta dei teatri lirici e quella dei milioni di persone che hanno protestato contro il genocidio e in sostegno all’ultimo grande esempio di disobbedienza civile nonviolenta quale è stata (ed è) l’avventura della Flottila. Ed è l’idea di non voler più sopportare la prepotenza, e neanche la fievole resistenza che fin qui (le Marche insegnano) le opposizioni hanno dimostrato nei confronti di chi la esercita.Il caso Venezi è indicativo dei tempi che viviamo, anche nel mondo culturale e a prescindere dall’esito finale della vicenda.
Che la nomina sia politica è abbastanza evidente. Che la protesta degli orchestrali riguardi il curriculum della direttrice, anche. E suo malgrado lo conferma quanto ha dichiarato un altro esponente di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, presidente della commissione cultura della Camera, quando sostiene che l’intenzione della destra è superare il concetto di egemonia e arrivare «a una sintesi tra diverse culture». Se intenda sintesi alla maniera di Hegel o di Marx non è dato sapere: ma, ancora una volta, la questione non è l’estenuante tiritera sull’egemonia, ma quella parolina che piace tanto alle destre tranne quando devono metterla in atto. Merito.
Tutto questo è già noto, ma dà anche l’occasione per riflettere sull’accusa di misoginia che spetta a tutti coloro che contestano una donna, si tratti di una premier o di una direttrice d’orchestra. Ecco, trincerarsi dietro il femminismo quando fa comodo per sostenere di essere attaccate in quanto donne è l’ultima cosa che si può definire femminista: perché è vero che le donne sono ancora viste come meno autorevoli, ma è altrettanto vero che esistono donne che vanno criticate, con tutte le proprie forze, per le idee e per le azioni.
Per questo, la cosa preziosa di oggi è Scritti sulla riproduzione - dal salario al lavoro domestico alle insorgenze femministe, che è appena uscito per Ombre Corte. Lo ha scritto una grande teorica femminista, la filosofa Silvia Federici, che sa come i femminismi debbano coniugarsi con la precarizzazione del lavoro e della vita. Si tratta, in parole povere, di lotta politica: perché non tutti i finali siano, auspicabilmente, come quelli di Senso.
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