Opinioni
23 ottobre, 2025L’autodeterminazione della Palestina, il ruolo di Anp e Hamas. Le mire dei coloni e dell’ultradestra
Il cessate il fuoco raggiunto a Gaza e il rilascio degli ostaggi israeliani sono una boccata d’ossigeno da quando, con i pogrom del 7 ottobre 2023, è iniziata una nuova – e ancor più drammatica – fase nella storia del Medio Oriente. Uno spiraglio (importantissimo, beninteso) in un contesto altamente esplosivo, dove basta veramente un nonnulla per riaccendere la miccia di un incendio devastante. Perciò si deve guardare con realismo ai limiti della «pax trumpiana» di Sharm el-Sheikh (un piano nel quale sono contemplati svariati elementi non conosciuti), che pure sta ottenendo alcuni risultati appunto rilevanti. Come pure alle poste in gioco dei vari attori dai quali dipende la sua implementazione, quelle che evidenziano come si tratti di una tregua dei (pre)potenti, in cui il diritto e i diritti non hanno cittadinanza e l’Europa continua a non toccare palla.
Il primo dei protagonisti è, naturalmente, il presidente Usa, portatore di un «bullismo diplomatico» che ha smosso le acque dei negoziati, ma che possiede altresì una spiccata egolatria (dalla quale deriva l’ossessivo invaghimento per il premio Nobel per la Pace) e un elevato tasso di imprevedibilità che possono influire su un percorso che richiede costanza e si rivelerà necessariamente soggetto a imprevisti. L’inclinazione per lo show e la politica spettacolo con la finalità di massimizzare la vetrinizzazione dei successi è l’antitesi del lavoro paziente e tenace indispensabile nelle relazioni fra Stati in conflitto.
E se l’approccio antidiplomatico dei suoi businessman convertiti in ambasciatori ha effettivamente portato al tavolo delle trattative i protettori di Hamas (Qatar e Turchia) interessati a moltiplicare ulteriormente gli affari con l’America, oltre che alla ricostruzione di Gaza, la politica di potenza e l’egemonia nell’area continuano a costituire una molla fondamentale degli attori, come conferma il ruolo diretto nei negoziati svolto dai rispettivi servizi segreti – e su questo scacchiere gli interessi si rivelano fortemente divergenti. Al riguardo, dando per assodato quale unico fine di “Bibi” Netanyahu il galleggiamento e la conservazione del potere, le frange ultraortodosse e suprematiste del governo di Gerusalemme costituiscono, con le loro constituencies dei coloni, delle frange impazzite dalle quali ci si può attendere il peggio (dalle loro file proveniva, infatti, anche l’assassino di Yitzhak Rabin).
Sull’altro fronte, ben difficilmente riuscirà il disarmo di Hamas, che ha immediatamente fatto uscire dai tunnel i suoi miliziani, per ribadire il proprio controllo sul territorio, e sta eliminando i clan rivali presentati come «collaboratori di Israele». Il gruppo terrorista islamista continua così a rimanere il player principale di Gaza, e ha dalla sua il fattore tempo, poiché ogni ritardo nell’insediamento operativo della nuova amministrazione lo avvantaggia; e, per giunta, il medesimo Trump gli ha affidato inusitatamente le funzioni di “polizia” temporanea.
E, soprattutto, per poter parlare sul serio di pace occorrerebbe affrontare quei nodi di lungo periodo che, malauguratamente, sono strutturali. E che, invece, permangono inevasi: dall’autodeterminazione della Palestina (esattamente lo stesso vulnus dell’Ucraina invasa) al riconoscimento dello Stato di Israele, dalla corruzione sistemica dell’Anp alla competizione tra le potenze regionali sunnite e quelle sciite.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Medici Zombie - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 17 ottobre, è disponibile in edicola e in app