Opinioni
30 ottobre, 2025Le misure economiche del governo sono solo un aspetto della vicenda. Pesa la lotta degli indigeni
L’Ecuador è un Paese più piccolo rispetto, per esempio, alla Colombia o al Perú dove gli scioperi nazionali bloccano tutto», racconta David Maya, ricercatore ecuadoriano. Da più di un mese la popolazione indigena sta infatti protestando contro le misure neoliberiste imposte dal presidente Daniel Noboa. Durante le mobilitazioni ci sono stati più di cento arresti arbitrari e tre morti causati dall’abuso da parte delle forze dell’ordine di armi o gas lacrimogeni.
Già nel 1980 le comunità indigene hanno iniziato a organizzarsi e, nel 1990 e 1992, ci sono stati i primi “gran levantamientos”, in cui si sono eliminate molte “haciendas” ovvero possedimenti privati di terre espropriate alle popolazioni locali. Negli ultimi decenni in Ecuador le comunità indigene hanno guidato le mobilitazioni alle quali poi si sono uniti lavoratori e studenti.
Ad agosto, Leonidas Iza, ex presidente della Conaie, la Confederazione di nazionalità indigene dell’Ecuador, ha subìto un tentativo di assassinio da parte di agenti dello Stato ecuadoriano. Lo scorso luglio, il Direttivo esecutivo del Fondo monetario internazionale ha siglato con l’Ecuador un rinnovato accordo di 48 mesi per promuovere una serie di politiche economiche mirate alla sostenibilità finanziaria del Paese. Tuttavia, i movimenti locali e la cittadinanza sostengono che le politiche economiche hanno in realtà aumentato disoccupazione e povertà infiammando così una serie di manifestazioni.
A scatenare il malcontento popolare è stata soprattutto la decisione del governo di eliminare il sussidio sul diesel, in vigore dal 1974, che ha aumentato il costo della vita. Dal 15 settembre si susseguono blocchi stradali, cortei e scioperi. Come strategia contro il dilagare delle proteste il presidente Noboa ha lasciato la capitale Quito e spostato la sede presidenziale nella provincia di Cotopaxi. La risposta del governo è stata un coprifuoco, in diverse parti del Paese, dalle 22 alle 5 del mattino. Le infrazioni sono punibili con l’arresto immediato e condanne fino a trent’anni. Dopo più di mese di mobilitazioni, una dozzina di manifestanti risultano scomparsi e altrettanti sono attualmente sotto processo con accuse di terrorismo. Il 14 ottobre si è registrato uno degli episodi più violenti dall’inizio delle manifestazioni: migliaia di militari hanno fatto irruzione nella città di Otavalo a bordo di quello che il governo aveva definito un “convoglio umanitario”, utilizzando lacrimogeni e granate stordenti contro civili e abitazioni. Durante quest’ultima operazione repressiva ci sono stati oltre trenta arresti. Gli agenti avrebbero impedito l’accesso agli ospedali e fatto irruzione in centri sanitari, ostacolando il lavoro del personale medico e negando assistenza ai feriti. Nel frattempo il ministero dell’Interno ha interrotto ogni dialogo con i manifestanti. «Il Paese non è scosso da mobilitazioni: è in piedi per la lotta e la resistenza. Sono state eliminate diverse haciendas e restituite terre alle comunità. Abbiamo creato scuole bilingui e espanso l’accesso all’istruzione», ha detto David Maya ripetendo l’inno kichwa: «Torneremo e siamo milioni, Shuk Shunkulla, Shuk Yuyaylla, Shuk Makilla, Shuk Shimilla». Non si può tradurre tutto in spagnolo, anche questo è un po’ il punto: ci sono comunità che sono sopravvissute al colonialismo, resistendo all’essere assorbite o assimilate.
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