Opinioni
12 novembre, 2025Non è allo Stato che i sindacati devono rivolgersi, ma ottenere la rinegoziazione dei contratti
Fra i termini economici che più spaventano c’è il “fiscal drag”. Gente della mia generazione, che ha visto l’inflazione al 20 per cento e più negli anni ’70, se lo ricorda bene. Il termine andrebbe tradotto in italiano come “drenaggio fiscale”, ma decenni fa talvolta lo si traduceva come “drago fiscale”, forse per renderlo ancora più spaventoso. La questione del fiscal drag è tornata di attualità nel dibattito politico per l’inflazione del 2021-22. Per esempio, di recente Landini ha parlato di truffa da parte dello Stato dichiarando che «i lavoratori e i pensionati hanno pagato 25 miliardi di euro in più di tasse a causa del cosiddetto fiscal drag, cioè del drenaggio fiscale che scatta quando, aumentando i redditi lordi, non vengono rivalutati automaticamente detrazioni e scaglioni Irpef. In pratica, si entra in uno scaglione più alto e in tasca arriva meno, senza che nessuno lo dica apertamente». La descrizione di cosa è il fiscal drag è corretta, ma il numero citato è fuorviante.
Lo ha spiegato una nota di Giampaolo Galli e Valerio Ferraro da poco pubblicata sul sito dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani. La stima di 25 miliardi viene da uno studio dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) che però utilizza una diversa definizione di fiscal drag. L’Upb guarda alla differenza tra il gettito effettivo e quello che ci sarebbe stato se gli scaglioni Irpef fossero stati indicizzati ai prezzi.
Nel far questo si misura non quanto i contribuenti hanno pagato in più per il fatto che le loro retribuzioni sono cresciute per recuperare l’inflazione, ma quanto i contribuenti hanno pagato in più rispetto al taglio di imposte che avrebbero ricevuto, in caso di indicizzazione degli scaglioni ai prezzi, per il fatto che il loro reddito reale è sceso.
È una definizione legittima, ma non è quanto in più i contribuenti hanno pagato, come dice Landini. Quanto hanno pagato in più dipende dagli aumenti delle retribuzioni, non da quello dei prezzi e, visto che le retribuzioni sono aumentate meno dei prezzi, la stima dei 25 miliardi è eccessiva. Non solo: la stima Upb riguarda tutti i contribuenti e non solo i lavoratori dipendenti e pensionati, cui ha fatto riferimento Landini.
Secondo Galli e Ferraro i lavoratori dipendenti hanno pagato in più per effetto del fiscal drag vero e proprio, poco più di 12 miliardi. È comunque una bella cifra che però è già stata più che compensata dai tagli del cuneo fiscale introdotti dal governo Draghi e confermati con qualche aumento dal governo Meloni. Quindi nessuna truffa operata dallo Stato verso lavoratori e pensionati.
Tutto a posto, dunque? Per niente. Le retribuzioni hanno perso circa il 7-8 per cento di potere d’acquisto rispetto a inizio 2021 (il taglio era stato anche più forte ma poi c’è stato nel 2023-24 un parziale recupero) e questo è un serio problema. Ma non è allo Stato che i sindacati si devono rivolgere, ma ai datori di lavoro attraverso la rinegoziazione dei contratti. Una cosa che complica tutto è che i datori di lavoro hanno in parte utilizzato gli spazi creati dal taglio reale delle retribuzioni per aumentare l’occupazione (da qui il boom osservato negli ultimi due anni), il che li rende restii a concedere aumenti salariali in eccesso agli aumenti di produttività. Ma è in quella direzione che occorre andare, non parlando di truffa dello Stato, che non è avvenuta.
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