Opinioni
19 novembre, 2025A Trento la mobilitazione contro due nuovi centri: luoghi di pratiche fondate sulla contenzione
Una volta aperti, i tentativi di rendere i Cpr luoghi umani sono del tutto vani», ha spiegato Gianpaolo della Brigata Basaglia, lo sportello solidale di sostegno psicologico e sociale nato durante la pandemia da Covid-19. L’assemblea che analizza vari aspetti della società, dalle carceri ai Cpr, in ottica basagliana, lo scorso 29 ottobre ha partecipato all’evento “Panopticon: le pratiche sanitarie di salute mentale nei Cpr e nel sistema di accoglienza territoriale”, che si è svolto a Trento, dove la Regione vuole aprire un nuovo Centro di permanenza per il rimpatrio.
Durante l’assemblea si è parlato dei Cpr come «massima espressione delle pratiche neomanicomiali» e delle possibili forme di lotta e resistenza contro l’apertura di due nuove strutture in Trentino Alto-Adige. Secondo la Brigata Basaglia è necessario che questo si faccia recuperando la memoria del movimento antimanicomiale. «Infatti – ha spiegato Eugenia della rete – la violenza psichiatrica e istituzionale è profondamente radicata e legata a un’idea di rapporti di potere all’interno dei contesti di cura». In altre parole, ciò che assomiglia al manicomio tende a riprodursi e la violenza dei Cpr traccia continuamente la linea di ciò che una società è disposta ad accettare, proprio come il carcere e il manicomio.
Le resistenze contro i Cpr sul territorio sono tutt’altro che una novità. Già a ottobre 2024 si era tenuta a Trento una partecipata assemblea regionale per rilanciare la campagna “No ai Cpr” con una forte spinta “abolizionista”: i Centri non sono riformabili e i fondi destinati alla loro gestione devono invece essere investiti in accoglienza e inclusione sociale, «settori già penalizzati dalle politiche della giunta Fugatti». La chiamata di collettivi e associazioni sul territorio continua a essere quella di boicottare le collaborazioni professionali con i Cpr: «Centri che, in primis, sono luoghi di violazione dei diritti umani e di tortura, dove le persone sono rinchiuse e sottoposte a condizioni disumanizzanti e umilianti». In tutti i nodi della rete territoriale contro l’apertura dei Cpr è condivisa l’analisi per cui il malessere dei detenuti nei Cpr venga gestito non in un’ottica di cura ma di contenzione, anestetizzando le risposte o i tentativi di resistenza. Per esempio, ha spiegato Pierpaolo «con l’uso massiccio di psicofarmaci allo scopo di calmare la popolazione del Cpr e non di permettergli di curarsi da qualcosa che è generato dall’istituzione stessa».
La Brigata Basaglia ha anche sottolineato come il ruolo di psicologia e psichiatria non sia assolutamente neutro e «possa anzi trasformare le problematiche e il malcontento sociale in colpa, medicalizzazione e criminalizzazione. Contiene e reprime persone che soffrono di giustizie sistemiche e strutturali», nei Cpr come nelle carceri. Nella sua analisi la Brigata Basaglia non dimentica qual è stato il ruolo della psicologia durante i nazifascismi in Europa, il modo in cui la cura e la scienza siano state assoggettate e controllate per giustificare e incentivare stragi e colonialismo. E ritiene che le recenti politiche siano un chiaro campanello d’allarme: «Si decide di portare sempre di più la psichiatria nelle carceri in un’ottica contenitiva e repressiva. Ci sono sempre più forze dell’ordine nei servizi di cura della saluta mentale. C’è una nostalgia manicomiale», ha spiegato Gianpaolo. Ma, «in tempi bui e sempre più bui», la Brigata Basaglia rivendica il «volere tutto, compresa l’utopia».
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