Opinioni
28 novembre, 2025Relazioni sociali e affettive. Imperfette ma autentiche, antidoto alla subdola dipendenza digitale
C'è una dipendenza che non ha sintomi immediatamente riconoscibili. È silenziosa, subdola, spesso scambiata per normalità. È la dipendenza affettiva e relazionale legata al mondo online. Una trappola invisibile, come recita il manifesto della Giornata nazionale sulle Dipendenze tecnologiche e sul Cyberbullismo del 29 novembre, che quest’anno ci invita a riflettere sui rischi di una «seduzione digitale capace di intercettare, e moltiplicare, il nostro bisogno d’amore».
Seduzione e bisogno: le due forze che condizionano i comportamenti dei nostri ragazzi davanti agli schermi degli smartphone. «Non riesco a staccarmi, prof. Ci provo, ma poi mi viene l’ansia». È la confessione di un sedicenne raccolta dal professor Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta che da anni ascolta giovani consumati e condizionati più dai like che dalle parole e che Claudia Bugno ha intervistato per L’Espresso a pagina 84. Ragazzi che trascorrono oltre cinque ore al giorno connessi, che sentono di esistere solo se qualcuno li guarda, se un algoritmo conferma che “piaci”. Perché gli algoritmi osservano, analizzano, prevedono i desideri, però non lavorano per il benessere, ma per la dipendenza.
Così mentre scorrono video e notifiche si consuma un paradosso: il 27% dei giovani non ha amici reali mentre il 14% fatica a incontrarli. Il corpo diventa ingombro, la relazione dal vivo una sfida. I numeri parlano chiaro: quasi un adolescente su due si sente influenzato da ciò che vede sui social, e uno su tre si scopre triste o insoddisfatto dopo averli usati a lungo. Lo specchio digitale restituisce immagini perfette, modelli irraggiungibili. E qualcuno finisce per crederli veri. Una solitudine che in alcuni casi è sfociata nel fenomeno degli hikikomori e che L’Espresso ha ben documentato in questi mesi. Giovani che si chiudono in casa, nella loro stanza, mantenendo contatti relazionali unicamente attraverso lo schermo, con amici virtuali di cui non hanno mai visto il volto diretto.
Poi c’è un altro lato oscuro alimentato dai social: il cyberbullismo, la violenza senza volto. Se il bullismo tradizionale si consuma nei corridoi scolastici, quello digitale non conosce limiti fisici: è sempre, ovunque e pervade senza tregua la vita delle vittime.
L’Australia, allo scopo di promuovere la sicurezza digitale e il benessere dei minori ha varato la normativa più avanzata al mondo e ha vietato ai minori di 16 anni l’uso dei social. Una decisione coraggiosa, forse estrema, ma che avvia una riflessione profonda. Infatti uno studio di Oxford ha dimostrato che esiste un forte legame fra l’uso dei social media da parte degli adolescenti e l’aumento di ansia e depressione.
In realtà la strada da percorrere passa attraverso l’educazione agli strumenti digitali, ovvero lo sviluppo di un insieme di competenze e attività volte a utilizzare le tecnologie in modo consapevole, sicuro e critico, per sfruttarne le opportunità e riconoscere i rischi. Si basa sullo sviluppo di abilità tecniche, ma soprattutto sulla capacità di navigare in modo responsabile, proteggere dati personali e sviluppare un pensiero critico verso le informazioni online. Perché oggi educare significa insegnare a disconnettersi, a spegnere lo schermo per accendere uno sguardo. A capire che il bisogno d’amore non si misura in like, ma in presenza.
In quella vera, fisica, magari imperfetta. Quella che però nessun algoritmo potrà mai restituire.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Quella sporca moneta - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 28 novembre, è disponibile in edicola e in app



