Opinioni
6 novembre, 2025Le imprese non trovano personale per scarsità di candidati: serve rafforzare i flussi migratori regolari
Il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) pubblicato a settembre contiene un’interessante analisi, basata su dati Excelsior, che porta a una conclusione: la difficoltà nel trovare personale per le nostre imprese non nasce tanto da candidati impreparati, ma, sempre più, dal fatto che i candidati non ci sono. Tra il 2019 e il 2024, la quota di assunzioni per le quali le aziende trovano difficoltà di reperimento è quasi raddoppiata, avvicinandosi al 50 per cento, con solo un leggero miglioramento nel 2025. La componente più importante di questo raddoppio (passata dal 12 per cento al 32 per cento) è proprio la mancanza di candidati, il cosiddetto labour shortage, molto più dello skill gap (la scarsità di competenze, cresciuta solo dall’11 per cento al 13 per cento). In altre parole: le imprese faticano a trovare personale anzitutto perché le persone non si presentano, non perché non sappiano fare il lavoro.
Quindi, per aiutare le imprese e consentir loro di crescere, non basta puntare su formazione, ITS e riqualificazione. Con una popolazione in età lavorativa che diminuisce tendenzialmente, occorre preoccuparsi al tempo stesso di aumentare attraverso l’immigrazione regolare il numero delle persone che possono lavorare, non per “compensare” politiche attive inefficaci, ma per rispondere a un vincolo demografico che non si corregge in pochi anni (ben vengano i sussidi alla natalità, ma ovviamente i loro effetti sono ritardati nel tempo). La ricetta, in sintesi, è duplice. Primo: rafforzare i canali di immigrazione regolare, con quote pluriennali, tempi rapidi per visti e permessi, corridoi formativi che colleghino Paesi d’origine e territori italiani, e contratti veri fin dall’ingresso. La selezione deve avvenire sulla base del nostro fabbisogno. Secondo: occorre contrastare gli arrivi irregolari. Gli sbarchi fuori dalle regole non aiutano né l’integrazione né le imprese: creano precarietà, alimentano intermediazioni illegali e non rispondono ai profili professionali richiesti.
Applicare questa ricetta non è certo facile. La Spagna, con un problema demografico anche peggiore del nostro (aveva nel 2023 un tasso di fecondità, ossia un numero medio di figli per donna, di 1,12 contro il nostro 1,20) ha costruito negli anni canali regolari di ingresso più fluidi. Il risultato è una popolazione e una forza lavoro in crescita e un Pil che corre a una velocità 5-6 volte superiore alla nostra. Occorre riconoscere che la Spagna ha un vantaggio oggettivo su di noi: il flusso di migranti viene in buona parte dall’America Latina, che condivide con la Spagna lingua, religione e cultura (anche se cresce l’immigrazione anche dagli altri Paesi europei, visto che il Paese sembra offrire migliori prospettive lavorative e opportunità anche per chi proviene dal resto dell’Unione europea). Ma la difficoltà del problema non deve impedirci di cercare e trovare una soluzione.
In conclusione: se la principale barriera è la scarsità di candidati, non basta migliorare i curricula di chi già c’è. Dobbiamo aumentare il numero dei potenziali lavoratori. Flussi regolari, sufficientemente ampi e legati ai fabbisogni produttivi, sono la risposta più concreta al calo demografico e al labour shortage crescente. Fermare gli sbarchi irregolari e, insieme, aprire porte regolari ben disegnate non è una contraddizione: è l’unico modo serio per coniugare legalità, crescita e coesione sociale.
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