Opinioni
10 dicembre, 2025La sinistra ha vinto quando è stata capace di costruire, con coraggio e pragmatismo, un'alternativa
C’è ancora una sinistra riformista in Italia? Non è, purtroppo, una domanda retorica. L’inasprirsi della conflittualità politica dopo l’avvento al potere della destra che fu missina e la competizione nel “campo largo” tra il radicalismo populista di Giuseppe Conte e la vocazione antagonista di Elly Schlein ha progressivamente emarginato in una zona d’ombra l’anima ulivista che animò la nascita del Partito democratico.
Sulla carta, certo, il Pd è pieno di riformisti. Formano correnti, organizzano convegni, animano siti e giornali. Eppure è sempre più difficile trovare un segno riformista nelle iniziative e nelle proposte di un partito che ogni giorno sembra impegnato in una partita con i cinquestelle nel campionato del massimalismo, e reagisce alle mosse di Giorgia Meloni alzando puntualmente la bandiera del No, senza però riuscire a mettere sul tavolo un vero programma alternativo.
Un osservatore acuto come Ernesto Galli della Loggia ha rimproverato al centro-sinistra di governo di essere sotto il continuo ricatto di quell’elettorato radicale (quasi tutto alla sinistra del Pd) che non è interessato a governare, perché «la principale motivazione che lo anima sta altrove: sta nella testimonianza e nella lotta». Quell’elettorato di duri e puri, ha scritto sul Corriere, «non desidera esercitare il potere», perché gli interessa una sola cosa: «sentirsi dalla parte giusta della storia».
Un’analisi assolutamente condivisibile. Ma non basta il ricatto morale dei duri e puri, a spiegare l’affievolimento della voce del riformismo sui temi che toccano la vita quotidiana degli italiani, ovvero il fisco, la sicurezza, la casa.
Per non parlare della riforma delle istituzioni, la più importante, sulla quale hanno messo cappello Meloni con il suo premierato su misura e Salvini con un federalismo strisciante mascherato da «autonomia differenziata».
Come ha avvertito Massimo Cacciari su La Stampa, l’iniziativa dell’opposizione avrebbe spazi enormi, se non si limitasse a essere opposizione ma adottasse una linea di radicale e coerente riformismo. Come fecero il Pds di Occhetto con il maggioritario, i Ds di D’Alema con l’elezione diretta del premier e il Pd di Veltroni con l’uninominale a doppio turno. Invece oggi non si vede nulla di tutto questo.
Il riformismo ha incarnato la speranza di un futuro che non fosse solo una riedizione del passato, ma una continua, necessaria evoluzione. Infatti il Partito democratico ha alle spalle un patrimonio di idee e di persone – da Turati a Moro, da Pertini a Berlinguer – che avevano compreso che la politica non si fa solo con gli slogan, ma con la capacità di vedere oltre.
Perché la sinistra, nelle democrazie del XX secolo, ha vinto non quando ha promesso la rivoluzione ma quando è stata capace di costruire, con coraggio e pragmatismo, un'alternativa concreta a chi vuole cambiare la società solo con gli slogan e la demagogia. Oggi, invece, si fatica a trovare anche solo tracce di quella visione di lungo periodo. Ed è sempre più difficile cogliere nel campo della sinistra l’ambizione di costruire una società giusta attraverso il cambiamento delle regole e delle strutture. Eppure è questa la strada maestra, per convincere gli italiani che questo Paese merita qualcosa di meglio del governo Meloni.
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