Opinioni
18 dicembre, 2025Armarsi fino ai denti non è l’unica strada e l’informazione ha il dovere di raccontarlo con chiarezza
Il futuro è in guerra? La crescita a livello globale della spesa di armi è senza precedenti, trainata dalla guerra in Ucraina e dal genocidio a Gaza. Secondo il rapporto dello Sipri, Stockholm international peace research institute, i ricavi dei produttori nel 2024 hanno raggiunto i 582 miliardi di euro. Delle prime dieci aziende al mondo sei sono statunitensi, con il 49 per cento dei ricavi. In Europa le vendite sono aumentate del 13 per cento, per un totale di 131 miliardi di euro. Tra queste, le italiane Leonardo e Fincantieri che incrementano i loro ricavi del 10 e del 4,5 per cento. Gli investimenti nel settore della difesa sono cresciuti in Europa del 42 per cento rispetto al 2023 e la Commissione Von der Leyen ha da poco varato il piano di riarmo da 800 miliardi. E pare sia solo l’inizio.
L’economia di guerra sottrae enormi risorse esponendo le nostre vite a un rischio gigantesco, con la complicità e il silenzio di una gran parte dei media e della politica. Pretendono di farci credere che meno democrazia, meno lavoro, meno salute, meno diritti, meno partecipazione, siano sacrifici che dobbiamo accettare per essere in grado di difenderci da Cina e Russia.
Armarsi sino ai denti non ci rende più sicuri e non difende la nostra libertà ma ci espone a maggiori rischi, avvicinando la guerra. Ce lo ricordano la Storia, la nostra condizione e la minaccia del collasso climatico. Invece, la retorica bellicista sta prendendo il sopravvento nell’informazione, troppo impegnata a voler convincere i cittadini che spendere per le armi sia l’unica strada per difenderci dai pericoli dei nuovi autoritarismi che arrivano dall’esterno.
Persino chi dovrebbe occuparsi della formazione professionale dei giornalisti ultimamente preferisce arruolarsi e irreggimentare il dibattito, invece che favorire pluralismo e ricerca della verità. Come successo qualche settimana fa a Roma in un corso di formazione obbligatoria organizzato dal consiglio dell’Ordine dei giornalisti sulla situazione in Ucraina al quale ho assistito personalmente. Le tre relazioni programmate andavano tutte nella stessa direzione, dando per scontata la necessità di sottrarre enormi quantità di fondi pubblici per le armi.
Nessun domanda scomoda, nessun pluralismo ma un’unica lettura dei fatti che vede le democrazie, esclusivamente liberali (con buona pace di tutte le altre), sotto attacco di Cina e Russia. Per questo motivo dobbiamo armarci e prepararci a tutto. Uno dei relatori è arrivato persino ad affermare più volte come fosse “surreale” pensare di criticare le scelte della Von der Leyen. Dimenticando evidentemente che il principale compito della stampa è quello di garantire il massimo pluralismo interno per soddisfare il diritto all’informazione del cittadino.
Dividere il mondo con l’accetta e separarlo tra buoni e cattivi, soffiando sulla guerra, è un esercizio infantile quanto pericoloso. Se a farlo sono coloro che hanno il compito di formare i giornalisti il problema è grave. Dobbiamo opporci a questa deriva difendendo il pluralismo dell’informazione, non indietreggiando di un passo se vogliamo evitare il baratro. Pluralismo vuol dire la presenza di più voci e fonti contrapposte per assicurare un’informazione completa, assicurando la possibilità ai cittadini di potersi autonomamente formare un giudizio sui fatti. Facciamo Eco!
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