Opinioni
19 dicembre, 2025Messaggi dal Paese reale: per colmare la distanza tra chi decide e chi subisce le scelte. E le omissioni
Si dice spesso che la politica è lontana dalla gente, dal Paese reale. Nel numero che precede il Natale, L’Espresso ha scelto di fare una cosa semplice ma radicale: lasciare parlare i lettori. Le loro cartoline indirizzate alla politica, al Palazzo, sono la nostra copertina. E anche la nostra denuncia.
Ne è uscita una galleria di istanze, richieste, propositi che non hanno nulla di ideologico e molto di concreto. Vengono dalla vita quotidiana, da chi studia, lavora, cura, insegna, crea, resiste. Dal Paese reale, appunto. Quello che non entra nei decreti legge ma paga il prezzo delle loro omissioni.
C’è la giovane docente che scrive: «Essere una professoressa giovane, precaria, è qualcosa che sfida le leggi del tempo e dello spazio». Una frase che fa sorridere, ma subito dopo ferisce. Chiede al ministro di entrare nelle classi, di guardare in faccia studenti e insegnanti, di capire cosa significhi educare senza certezze, senza futuro, selezionati da criteri che spesso premiano la fedeltà più che il merito. Non chiede privilegi, chiede che vengano valorizzate competenza e responsabilità.
C’è il rapper disabile che difende i diritti dei sordi, ricordando a una politica ossessionata dalla comunicazione che è altrettanto importante ascoltare. C’è un prete di strada che scrive da una periferia del Sud, dove le luci dei centri commerciali brillano all'orizzonte come miraggi. Racconta dei ragazzi che hanno smesso di sognare prima ancora di immaginare un’alternativa, e di come ogni giorno provi a restituire loro un futuro che lo Stato ha smesso di garantire.
C’è il giovane laureato costretto a lavorare a Bruxelles che avverte: siamo il futuro del Paese, non fateci scappare. È una frase che l’Italia sente da vent’anni e continua a ignorare, salvo poi stupirsi del declino e della fuga dei cervelli. E poi c’è la lettera di Rosaria, operaia somministrata, licenziata dopo quattro anni perché malata di tumore. «Prima la malattia peggiore, poi l’espulsione dal mio posto di lavoro. Mi sono sentita abbandonata nel momento in cui avevo più bisogno». È il ritratto più nitido di un mercato del lavoro che chiama flessibilità ciò che, il più delle volte, è precarietà, e modernità ciò che è disumanità.
Le cartoline dei nostri lettori ci confermano che la distanza tra il Paese reale e la politica non è una sensazione: è un dato. Lo certifica il crescente astensionismo che accompagna ogni tornata elettorale, come un bollettino silenzioso ma implacabile. Milioni di cittadini scelgono di non votare non per disinteresse, ma per sfiducia. Perché non si sentono rappresentati, ascoltati, riconosciuti da una politica troppo spesso chiusa in un circuito autoreferenziale di slogan, polemiche e tatticismi, mentre fuori crescono precarietà, disuguaglianze, paura del futuro. Il Paese reale vive problemi concreti – lavoro, sanità, scuola, servizi – che raramente diventano priorità dell’agenda pubblica, se non in forma emergenziale o, peggio ancora, propagandistica.
Queste cartoline non chiedono miracoli. Chiedono presenza, giustizia, visione. Chiedono una politica che torni a misurarsi con le conseguenze delle proprie scelte, che esca dai palazzi e rientri nelle vite. Se la politica è lontana dalla gente, non è per distrazione: è per scelta. Questo numero è un invito a colmarla, quella distanza. Prima che diventi irreversibile. E prima che anche il Natale resti solo una cartolina, senza destinatario.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Cartoline per il Palazzo - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 19 dicembre, è disponibile in edicola e in app



