Opinioni
3 dicembre, 2025La Cop30 in Brasile si è conclusa senza sostanziali passi in avanti. E aumentano le emissioni globali
Il 22 novembre si è conclusa la Cop30, la conferenza sul clima tenutasi quest’anno in Brasile. Non ci sono stati fondamentali passi avanti nel rendere più stringenti i precedenti accordi che, a partire da quello di Parigi del 2015, puntavano ad azzerare le emissioni di gas serra entro il 2050. Uno degli obiettivi della presidenza brasiliana era quello di rafforzare questi accordi definendo una roadmap per l’uscita dai combustibili fossili. Tale obiettivo non è stato raggiunto: il testo approvato dalla Assemblea Plenaria della Cop30 si limita a lanciare iniziative volontarie e definite in termini generici (come il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5) che probabilmente non avranno effetti pratici. A completare, in negativo, questo quadro si era già aggiunta l’uscita dagli accordi di Parigi degli Stati Uniti decisa da Trump a inizio anno.
La mancanza di progressi in termini di impegni presi dalla comunità internazionale è stata accompagnata dalle cattive notizie sulle emissioni di gas serra e sull’effettiva temperatura del Pianeta. Sono da poco disponibili (le trovate per esempio sul sito Our World in Data) le informazioni sulle emissioni di CO2 nel 2024, per il mondo e per i vari Stati. Non solo non abbiamo ancora iniziato a chiudere il rubinetto del gas (quello che deve essere completamente chiuso entro il 2050), ma lo stiamo aprendo ancora. L’aumento delle emissioni globali è stato dell’1,3 per cento, una velocità più alta di quella tenuta, in media annua, nel quinquennio precedente (0,7 per cento).
L’aumento è dovuto al comportamento dei Paesi emergenti. La Cina, il principale Paese emittente per cui da anni si prevede il raggiungimento del picco “quest’anno”, si è limitata all’un per cento. Ma l’India ha fatto il 4,2, la Malesia il 5,1, l’Indonesia il 6,6, il Vietnam il 6,9. Nel complesso i Paesi a reddito alto hanno ridotto le emissioni, seppur di poco (-0,1 per cento). Quelli dell’Ue del 2 per cento. Facile a questo punto incolpare del problema i Paesi a reddito più basso. La loro difesa è che sono due secoli che Paesi ricchi immettono CO2 nell’atmosfera e con questo si sono arricchiti. Gli altri stanno solo recuperando il divario. Questa differenza di posizioni di partenza è uno degli ostacoli principali alla decarbonizzazione.
Passiamo alla temperatura del Pianeta. L’obiettivo fissato a Parigi, e da allora reiterato alle successive riunioni Cop, è di puntare a contenere l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi centigradi nel 2100 rispetto alla cosiddetta età pre-industriale, fissata convenzionalmente alla metà del XIX secolo. Il problema è che già nel 2023 e nel 2024 si è raggiunto questo livello e che i dati sui primi 8 mesi del 2025 non sono molto meglio (+1,42 gradi). Gli ultimi tre anni sono stati i più caldi da due secoli. Naturalmente, non è detto che il 2026 sia ancora su questi livelli. Le oscillazioni da un anno all’altro possono essere notevoli. Ma il fatto che si sia raggiunto l’aumento di temperatura previsto per il 2100 con tre quarti di secolo di anticipo significherà pur qualcosa.
Di fronte a questi sviluppi non ci si deve sorprendere se il documento della Cop30 sottolinea con enfasi la necessità di azioni non solo per contenere l’aumento della temperatura, ma anche per adattarsi a vivere in un Pianeta più caldo. Se non è una resa, ci siamo vicini.
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