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Opinioni
febbraio, 2025

Alla Casa Bianca entrano gli aedi della post-verità

Trump apre le conferenze stampa agli influencer dell'ultradestra. E dichiara così guerra ai media

Ciclone (e sovversione) Trump». Perfino più di quanto si potesse riuscire a immaginare, il rieletto presidente degli Stati Uniti è partito lancia in resta secondo il format shock and awe («colpisci e terrorizza»). In questo tornado neoreazionario, che va dalle deportazioni degli immigrati alla guerra dei dazi commerciali, si deve evidenziare anche un episodio all’apparenza minore, ma che si rivela alquanto emblematico della sua ideologia e di ciò che riserva per il futuro la seconda amministrazione dell’ex tycoon. Uno specchio della concezione estremamente conflittuale che il campione del «Maga» e, al medesimo tempo, il referente dell’arrembante tecnodestra – due universi difficilmente conciliabili che hanno già cominciato a fare scintille – nutre nei riguardi dell’informazione.

 

Nei giorni scorsi la portavoce presidenziale, Karoline Leavitt, ha annunciato l’apertura della White House Press Room a una serie di figure inedite, caratteristiche di un ecosistema mediale fattosi, da qualche tempo, davvero ibrido. E decisamente trasfigurato rispetto al paradigma del giornalismo anglosassone – certo, molto ideale e normativo, ma non per questo meno reale in numerose occasioni importanti della storia americana – dei «fatti separati dalle opinioni» e di una deontologia alla ricerca del racconto della realtà e della cronaca tendente, quanto più possibile, verso la forma dell’obiettività.

 

L’annuncio della prossima partecipazione alle conferenze stampa presso la Casa Bianca anche di creator e influencer dei social media è stato naturalmente presentato da Leavitt alla stregua di una decisione innovativa, volta a democratizzare le notizie nell’interesse dei tanti americani che le consumano esclusivamente su piattaforme web, tenendosi a grande distanza da quelli che i neopopulisti nostrani chiamano con scherno e fastidio i «giornaloni».

 

Tale scelta aperturista risponde innanzitutto, com’è ovvio, all’avversione di Donald Trump nei confronti dei media cosiddetti mainstream, condivisa con lui da tutte quelle destre sovraniste di cui è tornato a identificare l’indiscusso leader globale. La svolta a favore dei «nuovi media» rappresenta un vero e proprio terremoto dal punto di vista del sistema comunicativo ed evidenzia la volontà di puntare su un registro propagandistico in maniera deliberata (e sfrontata), assecondando la sfiducia del suo elettorato nei confronti dell’informazione certificata e delle fonti verificate. Insomma, la post-verità fa il suo ingresso trionfale alla White House e va direttamente a occupare il cuore del potere istituzionale, trovando i suoi aedi in personaggi come il seguitissimo commentatore tv, stand-up comedian e youtuber (di orientamento no-vax, omofobo e libertario di ultradestra) Joe Rogan.

 

Uno scenario, dunque, in cui Trump andrà soprattutto a premiare un drappello di propagandisti (come i podcaster, i blogger e i conduttori radiofonici dell’alt-right), ma che cementa altresì ulteriormente le sue «relazioni pericolose» con i padroni di quel capitalismo digitale e della sorveglianza sulle cui piattaforme si trova appunto questa foresta – o, per meglio dire, selva oscura – di «informazione alternativa» (come «alternativi» sarebbero i «fatti» che narrano spacciandoli per veritieri). Con il risultato di incrementare ancora di più il tremendo disordine informativo…

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