Negli Usa l'alba di un Medioevo postmoderno

Con Trump-Musk, dall’agguato a Zelensky al Gaza resort, nessun argine tra interessi e politica

Il mercato anglosassone, nella sua durezza, ha fatto spesso rima anche con concorrenza. Una competizione – utile in termini sistemici – determinata innanzitutto dalla legislazione antitrust, che affonda le sue radici nelle mobilitazioni contro i famigerati «baroni ladroni» oligopolisti (oggi prepotentemente ritornati in vesti digitali). Al medesimo tempo, la riduzione della velocità e dell’ampiezza del fenomeno delle sliding (o revolving) doors – il trasferimento da funzioni pubbliche di rilievo a incarichi nel privato – trovava una diga di checks and balances pure in una certa disposizione all’autoregolazione e autodisciplina degli stessi attori economici. Anche se, con gli anni Ottanta, era dilagata una finanziarizzazione sempre più sfrenata l’autocontrollo rimaneva iscritto nel dna del connubio – per dirla con Max Weber – fra lo spirito del capitalismo e l’etica protestante. E, in ogni caso, a intervenire – secondo le prassi del costituzionalismo liberale e della rule of law, di cui gli Usa hanno rappresentato la quintessenza per gran parte della loro esistenza – erano la magistratura e il potere giudiziario.

 

A rimescolare le carte è stata, dunque, proprio la politica, assai bipartisan anche in questo ambito per niente commendevole; e alcune “picconate” di rilievo contro l’«Ethics Reform Act» del 1989 e il successivo «Honest Leadership and Open Government Act» del 2007 (rivolti ai membri del Congresso e a vari componenti del personale dell’Amministrazione) vennero precisamente infete nel corso del primo mandato di Donald Trump. Norme parzialmente ripristinate da Barack Obama e ulteriormente estese da Joe Biden, che aveva riportato a due anni il periodo del divieto di passaggio dal settore pubblico a ruoli aziendali, allargandolo pure a una serie di funzionari di grado elevato già in servizio presso la Casa Bianca. Adesso nell’offensiva totale e nel Blitzkrieg (anche propagandistico) trumpiano, assistiamo a una piena che travolge ogni argine. Presentata per giunta – all’insegna dell’ennesimo capovolgimento della realtà, e come prescrive la “dottrina politica dei fatti alternativi” – quale “favore al popolo”. Come nel caso dei dazi, le cui conseguenze (a partire dal prevedibile incremento dell’inflazione) finiranno per ripercuotersi negativamente in primo luogo proprio sugli entusiastici elettori trumpisti della working class e del proletariato bianco.

 

La “combo” Trump-Musk sta ora instaurando un regime della postverità e dello spettacolo integrale quale strumento totale di governo e, contemporaneamente, di business (realizzando le “profezie” di Guy Debord), dietro cui si intravede una forma di neopatrimonialismo in stile Antico regime high tech. Al punto da fare impallidire la classica definizione marxiana del «comitato d’affari della borghesia», con la quale peraltro nulla hanno più a che spartire i plutocrati dell’Ia. Spettacolo politico integrale (e indecoroso), come la sceneggiata-imboscata in mondovisione organizzata dall’altra “combo” Trump-Vance ai danni del presidente ucraino Zelensky, delle cui terre rare vogliono impadronirsi, spartendosele con Putin. O come lo spettacolo-“delirio” iperreale e affaristico delle macerie della Striscia di Gaza da convertire in agglomerato di resort di lusso. È l’alba del Medioevo postmoderno, con Joker alla presidenza della prima potenza globale, la democrazia in preda a convulsioni fatali, e l’Europa drammaticamente impotente. Mala tempora currunt...

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