In un periodo in cui venti di guerra sono tornati prepotentemente a spirare in molte parti del mondo, mi ha molto colpito per l’attualità delle questioni poste, il libro di Gianluca Sadun Bordoni, “Guerra e natura umana” (vedi pagina 20). È un’analisi penetrante e provocatoria che affronta un tema tanto antico quanto attuale: la guerra come manifestazione intrinseca della natura umana. L’autore si distingue per il suo approccio rigoroso e multidisciplinare, attingendo a conoscenze provenienti dalla biologia, dalla storia, dalla psicologia e dalle scienze sociali. Il saggio non si limita a esaminare le guerre passate, ma si interroga sulle radici profonde che caratterizzano ogni conflitto, chiedendosi se l’umanità sia in grado di liberarsi per sempre dalla morsa della guerra e della violenza. È l’auspicio che tutti noi condividiamo, anche se la storia dell’umanità finora lo ha sempre disatteso.
La tesi che emerge si basa sulla convinzione che la guerra non sia una cattiva invenzione culturale, ma piuttosto un comportamento con profonde radici nella nostra storia evolutiva. Di conseguenza la teoria che indica la guerra come un’aberrazione comportamentale scaturita da una società civilizzata e da fattori culturali si dimostra – secondo Sadun – inadeguata di fronte alla realtà storica e antropologica che ci dimostra invece come le dinamiche belliche siano state sempre una costante inevitabile della condizione umana.
A questo punto dovremmo arrenderci e considerare inarrestabile lo scoppio di nuove guerre? Non sarebbe meglio tentare di contrastare queste posizioni, portando alla luce argomenti che possano mettere in discussione l’idea che il conflitto sia una condanna per l’umanità? L’evoluzione non è una semplice ripetizione di comportamenti passati, ma un processo dinamico. La capacità umana di adottare norme sociali, etiche e culturali diverse ha dimostrato che anche cooperazione, empatia, solidarietà e pacifismo possono essere espressioni della natura umana. Le evidenze antropologiche suggeriscono che molte società, in particolare quelle primitive di cacciatori-raccoglitori, hanno dato spazio a pratiche basate su cooperazione e risoluzione non violenta dei conflitti. Tutto ciò ci porta a concludere che la guerra non è una risposta inevitabile, ma uno dei molteplici percorsi che l’umanità può scegliere.
La Storia recente ha dimostrato che movimenti pacifisti e risoluzioni diplomatiche possono efficacemente prevenire i conflitti. Gli sforzi globali per il disarmo nucleare, per esempio, hanno portato a una significativa riduzione delle tensioni tra diverse potenze. L’idea che l’umanità non possa superare l’orrore dei conflitti non considera le profonde trasformazioni avvenute in molti contesti, dove il dialogo e la cooperazione hanno preso il sopravvento sulle armi. Le società moderne hanno sviluppato strutture legali e internazionali capaci di affrontare le dispute attraverso negoziazioni pacifiche, suggerendo che la cultura della guerra può essere sostituita da una cultura di pace.
Sostenere che la guerra sia intrinsecamente legata alla nostra natura significa rinunciare all’idea di cambiamento e sviluppo umano. La nostra capacità di apprendere dagli errori del passato e di evolverci come società è ciò che ci distingue come specie. Sebbene il conflitto sia parte della nostra storia, non è una condanna inevitabile per il futuro. L’umanità ha dimostrato, e continuerà a dimostrare, che la giustizia, la pace e la comprensione reciproca possono prevalere sulla guerra. Mai come in questo momento risuona attuale il messaggio di Papa Francesco di questi giorni: «Nella malattia, la guerra mi sembra ancora più assurda. Bisogna disarmare la Terra».