L'industria bellica italiana continua a crescere sospinta dalla guerra in Ucraina, ma i veri effetti si vedranno nei prossimi anni: "Molte trattative in corso". Resta il dilemma giuridico: perché il Parlamento viene coinvolto sulle cessioni gratuite e non su quelle a pagamento? I grossi affari sono per i tedeschi che hanno gli stabilimenti qui. Tutti i dettagli in un ampio servizio in edicola

La guerra è sempre una sconfitta, come ripete papa Francesco, una sconfitta per tutti. Non proprio per tutti. Non lo è, banalmente, per l’industria bellica che arma le guerre e pure la pace che precede e segue le guerre. La stessa guerra in Ucraina è diventata un affare e, se appare volgare associare la guerra a un affare, possiamo dire che la guerra in Ucraina è diventata una fonte di profitto per l’industria bellica italiana. In due anni, ha ricostruito l’Espresso, il governo italiano ha autorizzato l’esportazione in Ucraina di armi fabbricate in Italia, armi vendute non cedute/donate/regalate a Kiev, per un valore complessivo di circa 640 milioni di euro (417 nel 2023, 222 nel 2024).

 

Trattative in corso

 

Più fonti qualificate spiegano a l’Espresso che, in queste settimane, sono in corso diverse trattative fra il governo di Kiev e aziende con sedi in Italia, dunque non esclusivamente di proprietà italiana, per ulteriori forniture di vario tipo, adatte a tempi di guerra e, si spera, a tempi di pace, e pazienza se assai armata. L’effetto di queste trattative per l’industria bellica, trattative che poi vanno autorizzate dal ministero degli Esteri con l’avallo politico della presidenza del Consiglio, sarà visibile alla fine di quest’anno e, ancora di più, negli anni a venire.

 

Il profilo giuridico discutibile

 

Come già fatto notare in passato, la vendita di armi al governo di Kiev ha un profilo giuridico parecchio discutibile, considerando che la legge 185 del 1990 vieta «le esportazioni e il transito di materiale di armamento verso paesi in stato di conflitto». Tant’è vero che l’Italia, sin dal governo Draghi, per la «cessione non onerosa» di armi a Kiev, impegnata a difendersi dall’offensiva russa, ha approvato una legge in deroga alla 185 del 1990 che viene annualmente prorogata alle Camere. L’ultima volta è successo due settimane fa.

 

Il ruolo della multinazionale tedesca Rheinmetall

 

Per la «cessione onerosa», cioè la vendita di armi, il governo Meloni non ha ritenuto necessario coinvolgere il Parlamento. L’industria bellica italiana vende armi a Kiev direttamente e anche indirettamente: per esempio la Germania, e non soltanto la Germania, ordina in Italia e gira a Kiev. Peraltro la multinazionale tedesca Rheinmetall, che a novembre ha ricevuto nei siti di Roma la visita del segretario generale Nato, l’olandese Mark Rutte, è fondamentale per l’Ucraina perché realizza in Italia il sistema aereo Skynex, prezioso per abbattere i razzi russi lanciati sui territori contesi. La Germania ha comprato una coppia di Skynex per l’Ucraina e l’Italia ne ha opzionati quattro per il nostro Esercito con la prima consegna prevista per il secondo semestre del 2026 e una possibile estensione a quattro esemplari. Ancora Rheinmetall controlla la Rwm che in Sardegna, nei capannoni di Domusnovas, produce le munizioni per l’artiglieria di Kiev. Per questi motivi strettamente legati alla guerra in Ucraina, la multinazionale Rheinmetall ha aumentato rapidamente il fatturato proveniente dagli stabilimenti situati in Italia, sfiorando il miliardo di euro in esportazioni nel 2023. Di armi vendute e cedute, e di quanto sia davvero robusto il contribuito italiano alla resistenza ucraina, ne parleremo in un ampio servizio da domani in edicola.