La politica estera torna a fare la differenza. Nel senso della riconfigurazione, purtroppo in peggio, dell’ordinamento liberale internazionale, come pure della ridefinizione dell’agenda interna. La ventata reazionaria che arriva da Oltreoceano (con il trumpismo punto di sintesi fra movimento Maga e tecnodestra), il Medio Oriente senza pace, la decisione della Commissione di varare il piano “ReArm Eu” alimentano le divisioni fra i partiti. D’altronde, come noto, la politica internazionale ha rappresentato e continua a costituire un terreno bipartisan e un esercizio di senso di responsabilità per i partiti di svariate democrazie liberali diverse dall’Italia: una consuetudine di condivisione nelle scelte che è divenuta, infatti, oggetto dei forsennati attacchi mossi dalle autocrazie attualmente in grande spolvero. E specialmente di quelli della rediviva Russia putiniana, le cui sirene risultano molto seducenti per vari settori trasversali del mondo politico nostrano. Reduce da vari momenti ed eventi collettivi che hanno restituito la fotografia delle divisioni e dei funambolismi dei leader, a partire dalla piazza – partecipatissima e festosa – convocata da un esponente della società civile, il giornalista e scrittore Michele Serra.
Il suo accorato appello per l’Europa ha avuto la forza di far accorrere una marea di persone progressiste, persino al di là delle speranzose attese della vigilia. Un bagno di folla che, tuttavia, si rifrange e suddivide nuovamente nei mille rivoli di posizioni e orientamenti che non riescono e non possono, allo stato attuale, ricomporsi in maniera unitaria di fronte alla sequenza di sconvolgimenti che l’attualità dell’ex Villaggio globale ci scaraventa addosso ogni giorno.
Le divisioni sono presenti anche a destra (a cominciare dalle istanze della piazza leghista), ma le contraddizioni esplodono soprattutto a sinistra, eterne riproposizioni dello scontro fra riformismo e massimalismo; e a versare ulteriore benzina sul fuoco ci penserà la manifestazione convocata da Conte per il 5 aprile, con le sue reiterate accuse di bellicismo indirizzate alla volta dell’Unione europea e una piattaforma similare, una volta di più, a quella di Salvini.
Come se non ci fosse già toccata la sventurata sorte di vivere nell’epoca della reinvenzione postmoderna e assai muscolare della “dottrina Monroe” da parte dell’odierna Casa Bianca. Al pari del suo lontano predecessore James Monroe (1758- 1831), Donald Trump vuole tornare a una forma di isolazionismo (strumentale e a geometrie variabili) degli Usa, e pensa a un “cortile di casa” corrispondente alle “Due Americhe”: di qui, le provocazioni irresponsabili e pericolose nei confronti del Canada, di Panama e della Danimarca.
Il fastidio verso l’Ue, bullizzata e sbeffeggiata, e l’idea di “fare la voce grossa” a ogni piè sospinto – insieme alla “pistola sul tavolo” delle trattative – indicano con nettezza la fine dell’atlantismo che ha guidato l’unità dell’Occidente dalla fine della seconda guerra mondiale. E obbligano l’Europa a ripensarsi. Una gigantesca sfida che prevede anche la realizzazione di una difesa comune e, inevitabilmente, quella di una dotazione armata e di un apparato militare adeguati a cui, proprio per difendere l’europeismo (e i valori dell’illuminismo), la sinistra dovrebbe contribuire senza ambiguità né scorciatoie.