Ha attirato molta attenzione la recente pubblicazione di una nota sull’andamento dei salari reali (cioè al netto dell’inflazione) nel nostro Paese da parte dell’Organizzazione Mondiale del Lavoro (Oil). Il documento indica che i salari hanno perso l’8,7 per cento del loro potere d’acquisto dal 2008. Al contrario, i salari tedeschi sono aumentati del 15 per cento e quelli francesi del 5 per cento. In realtà, la cosa è ben nota e, fra l’altro, i dati dell’Oil erano già stati pubblicati nel loro rapporto annuale del novembre scorso. Quello che è meno noto sono i motivi della caduta nel potere d’acquisto dei salari.
La caduta avviene in due momenti. Il primo è tra il 2009 e il 2012, quando i salari scendono del 6,2 per cento. In questo periodo il Pil reale cala dello stesso importo. Questo significa che i salari sono caduti non per un cambiamento nella distribuzione del reddito, ma perché il reddito complessivo degli italiani scendeva per effetto delle due crisi, quella globale del 2008-09 e quella del debito europeo del 2011-12, crisi che ci hanno colpito in modo particolarmente forte. In questo periodo, rispetto agli altri Paesi europei, siamo stati ultimi non solo nella classifica della crescita salariale, ma anche in quella dei profitti e delle altre componenti di reddito. Nel periodo 2013-2021 i salari reali crescono dell’1,5 per cento, solo di poco meno del Pil (2,1 per cento). La seconda fase di discesa è invece quella davvero anomala. Nel biennio 2022-23 i salari calano del 6,4 per cento mentre il Pil sale del 5,7 per cento (in gran parte per il rimbalzo post Covid del 2022). La causa di questo tracollo è l’inflazione. I salari, bloccati da contratti triennali siglati quando le aspettative d’inflazione erano basse, crescono poco mentre i prezzi crescono velocemente. Inizialmente l’aumento dei prezzi è causato dall’aumento delle materie prime (e quindi beneficia il resto del mondo), ma i prezzi al consumo restano alti anche quando i prezzi delle materie prime scendono (succede sempre così) e i margini di profitto crescono. Col ritorno dell’inflazione su livelli più moderati e i rinnovi contrattuali, i salari reali hanno ripreso a crescere (nei dati Oil del 2,3 per cento nel 2024, contro un aumento del Pil dello 0,7 per cento), ma ci vorrà tempo per recuperare il potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione. Un breve inciso tecnico: in realtà guardando ai dati mensili Istat si capisce che già nel corso del 2023 i salari avevano cominciato a crescere più dei prezzi, ma i dati Oil si riferiscono a medie annuali che si muovono in ritardo.
Che lezioni traiamo da tutto questo? Primo, la principale causa della caduta dei salari dal 2008 al 2021 è stata la crisi dell’intera economia italiana: si potrà recuperare, per questa componente, solo se l’Italia riuscirà a crescere come hanno fatto negli ultimi anni altri Paesi dell’Europa del Sud (Spagna, Portogallo, Grecia). Secondo, l’inflazione fa malissimo a chi ha redditi fissi. Terzo, nei prossimi anni i salari reali dovranno crescere per recuperare il taglio dovuto all’impennata dell’inflazione. Occorrerà tenerne conto nei prossimi rinnovi contrattuali, anche se, purtroppo, molti dei posti di lavoro che abbiamo creato nel 2023-24 (il boom occupazionale tanto sbandierato dal governo) sono a bassa produttività (infatti la produttività media è scesa parecchio): questo tenderà a frenare, statisticamente, il recupero salariale.