Il movimento Bds (Boycott, Disinvest, Sanction) italiano sta coordinando proteste nonviolente e capillari affinché «il rosa non si sporchi di sangue»

Il boicottaggio della squadra d'Israele al Giro d'Italia per non abituarsi al massacro in Palestina

A inizio maggio, dalla Palestina è arrivato un appello che chiede delle mobilitazioni lungo tutto il percorso del Giro d’Italia per contestare la partecipazione della squadra israeliana Israel Premier Tech. Dal 9 maggio al 1° giugno, da Nord a Sud, nelle città e nelle province, ci sono state e ci saranno diverse mobilitazioni contro la presenza di quello che è stato soprannominato “Team Genocidio”. Il movimento Bds (Boycott, Disinvest, Sanction) italiano sta coordinando proteste nonviolente e capillari affinché «il rosa non si sporchi del sangue palestinese».

 

Nonostante i miliardi di euro usati per la propaganda sionista, il Bds negli anni ha ottenuto numerose vittorie: le alleanze contro l’occupazione si moltiplicano. Il movimento che, globalmente, chiede di boicottare, disinvestire e sanzionare è una delle principali forze oppositrici alla propaganda culturale, economica e sociale sionista. Grazie alle campagne di boicottaggio, per esempio, Carrefour è stata costretta a chiudere le sue sedi sia in Oman sia in Giordania. Puma, che sponsorizzava fino a dicembre 2024 la squadra di calcio israeliana (Ifa), ha rinunciato a seguito delle pressioni del boicottaggio. Dopo Puma, un’azienda italiana relativamente piccola, Erreà, ha rilevato la sponsorizzazione, ma si è poi ritirata. Attualmente la Reebok sta collaborando con la nazionale israeliana. In questi processi di Bds nei confronti della squadra israeliana la tifoseria calcistica ha avuto un ruolo essenziale.

 

Sul ciclismo, commenta un attivista di Bds ai microfoni di Radio Onda Rossa, la tifoseria è meno solida e compatta, dunque, lo sforzo di diffusione della protesta sul Giro d’Italia deve essere più significativo. Una parte integrante della propaganda d’Israele in Europa è quella di creare, agli occhi europei, una cultura sionista che è riconoscibile da tutti come affine e intrecciata alla nostra, così da normalizzare, nei nostri stadi e palchi, la sua presenza. Finché ci si scorda com’era prima, finché la Palestina non sparisce dai nostri orizzonti.

 

Quando diciamo o sentiamo dire che l’arte, la musica o lo sport non hanno niente a che fare con la politica ci scordiamo qualcosa di essenziale: la Palestina c’entra con tutto, perché cristallizza la verità storica del potere e delle resistenze che gli si oppongono. La propaganda culturale sionista vuole tenerci nell’intrattenimento mentre scrolliamo un po’ più velocemente del solito, fingendo di non aver visto, il live streaming del genocidio. La tortura della fame in Palestina ci mostra l’ultima strategia di annientamento in diretta di un popolo, l’ultima fase del genocidio. In Europa si chiama “all’ultimo giorno di Gaza”, ma come ha scritto Dalia Ismail sul Fatto Quotidiano: «Non è l’ultimo giorno per Gaza. Gaza vive. Gaza resiste. Gaza continua a generare vita, sapere, cultura, lotta» (maggio, 2025). Non si richiede agli europei più “umanità”, quella la si dà un po’ per scontata.

 

Diversamente si pretende una profonda e radicale alleanza e complicità con la liberazione del popolo palestinese, il che significa sacrificio spietato e disperato, non l’ultimo, mai l’ultimo. Diversamente, scrive Ismail, chiedere la pace in Palestina «è un rituale d’espiazione per coscienze europee in crisi d’immagine e di senso», diversamente «è l’ennesima narrazione che decentra la Palestina e ricentra l’Europa».

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