È evidente che il progetto di fare da pontiera tra l’Europa e Washington non riesce a fare passi avanti

La surreale irrilevanza italiana nel caos globale

C’è un momento in cui persino la retorica patriottica si inceppa. Quando il boato della realtà sovrasta il tamburo della propaganda, e le parole – per quanto studiate, cesellate, diffuse con perizia – diventano vuoti esercizi di stile. È quanto accade oggi alla politica estera italiana, che si scopre nuda, inadeguata, irrilevante nel mezzo di una delle crisi internazionali più pericolose degli ultimi decenni. Intendiamoci: non è una responsabilità che ricade interamente sull’attuale governo. L'irrilevanza italiana ha radici profonde. La Prima Repubblica, in politica estera, fu subalterna. La Seconda non fu da meno. 

 

Ma oggi il quadro è aggravato dalla drammaticità di un triplice fronte di guerra: Ucraina, Gaza e Iran. A Giorgia Meloni va riconosciuto di aver tenuto la barra dritta sugli aiuti a Zelensky e di aver aderito senza esitazioni al piano di riarmo europeo. Ma il ritorno dello sceriffo Trump – che la nostra premier non ha mai smesso di idolatrare – ha fatto saltare i suoi schemi. Per due anni e mezzo, la premier ha provato a mantenere un fragile equilibrio tra atlantismo e sovranismo, tra adesione alla Nato e simpatia per Orban.

 

Ma ormai è evidente che il progetto di fare da pontiera tra il Vecchio Continente e Washington non riesce a fare passi avanti. Meloni, intervistata da Libero, continua a vendere illusioni: «Grazie all’Italia si è riaperto il dialogo con gli Usa». Peccato che né Macron né Starmer né tantomeno Trump sembrino interessati a servirsene. La Tageszeitung tedesca lo ha scritto chiaramente: l’Italia si offre, ma nessuno accetta. Non è bastata la foto di Ursula von der Leyen e J. D. Vance seduti uno di fronte all’altra, con Meloni in mezzo, ad accreditare il ruolo determinante della mediazione italiana. Anzi: appena pochi giorni dopo Trump ha sferrato il suo attacco più duro all’Ue, annunciando dazi record sulle merci europee. E quando finalmente il presidente americano e la presidente della Commissione si sono incontrati per affrontare la questione, al G7 di Kananaskis, la premier italiana era da un’altra parte.

 

La difficoltà del governo italiano sullo scenario mondiale è ormai evidente. Al G7 la premier – dopo un lungo e imbarazzante silenzio – si è fatta promotrice di un’iniziativa comune per il cessate-il-fuoco a Gaza, ormai ridotta a un cumulo di rovine insanguinate dai feroci bombardamenti di Israele, ma il suo amico Donald se n’è tornato a Washington in anticipo (cosa mai accaduta) evitando così di doverne persino parlare. Il sostegno italiano all’Ucraina è ormai “a bassa intensità”, mentre sull’impegno Nato ad aumentare le spese militari al 3,5 per cento del Pil la maggioranza si spacca come una farsa felliniana: Tajani plaude, Salvini storce il naso, Crosetto scalpita, Giorgetti frena, Meloni prende tempo.

 

Ora, con Trump che torna a dettare legge, difendendo Putin e attaccando frontalmente l’Unione europea, la premier italiana è costretta a riposizionarsi, ricostruendo in gran fretta un rapporto cordiale con l’ex bersaglio Macron, rafforzando l’amicizia con il laburista Starmer e consolidando l’alleanza con il conservatore Merz, che è il più deciso sostenitore degli aiuti «senza restrizioni» all’Ucraina. 

 

Chi pensava che lei sarebbe diventata la quinta colonna di Trump in Europa per il momento deve ricredersi, ma oggi sono rimasti solo il Tg1, il Giornale e Libero a raccontare ogni giorno agli italiani che il governo Meloni è il vero protagonista della scena mondiale.

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