Józef Rotblat, fisico polacco, fu l’unico membro del Progetto Manhattan ad abbandonarlo perché contrastava con la sua etica e, dopo Hiroshima, partecipò alla redazione del Manifesto Russell-Einstein in favore del disarmo nucleare. A leggerlo oggi, settant’anni dopo, quel Manifesto continua a essere lucido e giusto: invitava a pensare in una nuova maniera, invitava a chiedersi «non che mosse intraprendere per offrire la vittoria militare al proprio gruppo preferito» ma «che passi fare per prevenire uno scontro militare il cui risultato sarà inevitabilmente disastroso per entrambe le parti». Infine, lanciava un appello «come esseri umani ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticatevi del resto» (questa frase, in particolare, era proprio di Rotblat).
Provate a citarlo oggi, il Manifesto Russell-Einstein: da cinque anni a questa parte la parola “pacifista” è diventata una dimostrazione di pochezza cognitiva e sinonimo di ignoranza geopolitica. Questo, nel migliore dei casi: nel peggiore, sarete accusati di connivenza con Putin (in caso dell’invasione dell’Ucraina), di antisemitismo (in caso di costernazione per il genocidio di Gaza), o, come è avvenuto nei giorni scorsi, di essere concordi con gli ayatollah (e dunque di volere lo sterminio di donne e persone Lgbt) se mostrate anche un vago dissenso verso l’azione militare di Netanyahu nei confronti dell’Iran. La violenza degli attacchi non viene, peraltro, da navigatissimi troll della Rete, ma da fini intellettuali, donne e uomini, che non riescono a vedere che, come diceva il grande sociologo e matematico pacifista Johan Galtung, “There are alternatives”, ci sono sempre alternative.
Non è solo la Rete a essere tornata ai tempi in cui Zenone usava la dicotomia per contrastare il movimento: sembra che ogni sfumatura e ogni ragionamento scoppino come bolle di sapone in favore di uno schieramento che non conosce possibilità di distinguo. È possibile che questa sia una delle eredità velenose dei tempi del Covid, quando era impossibile riflettere sull’utilità del green pass senza venir relegati nelle lande del terrapiattismo. È possibile che Russell, Einstein e Rotblat e gli altri firmatari fossero troppo ottimisti sulla nostra capacità di ragionare e sentire da umani. Ed è possibile anche che molti intellettuali che invece ai distinguo credono non sappiano come comportarsi in quella che è anche una guerra di parole. Nel 1997, su questo giornale, Umberto Eco diceva: «Quando la casa brucia, l’intellettuale può solo cercare di comportarsi da persona normale e di buon senso, come tutti, ma se ritiene di avere una missione specifica si illude, e chi lo invoca è un isterico che ha dimenticato il numero telefonico dei pompieri». Antonio Tabucchi gli rispose che se i pompieri fossero stati quelli di Ray Bradbury in Fahrenheit 451 avremmo avuto un bel problema. E aggiunse: «Non è facile far luce, e del resto, come diceva Montale, ci si deve accontentare dell’esile fiammella di un fiammifero. Ma è già qualcosa. L’importante è tentare di accenderlo».
Proviamo allora con la cosa preziosa di oggi, che è “I demoni” di Joe Abercrombie, che esce per Ne/oN nella traduzione di Stefano Giorgianni. È un fantasy apocalittico, che mostra quel che succede quando il mondo è agli sgoccioli. Certo, è fiction. Ma non era fiction il passaggio del Manifesto Russell-Einstein che, dopo l’appello a considerarsi umani, concludeva: «Se riuscirete a farlo si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; se non ci riuscirete, si spalancherà dinanzi a voi il rischio di un’estinzione totale».