A Milano un presidio per intercettare le fragilità. E aiutare le le vittime di violenza a costruirsi una professione. Parla la coordinatrice Samanthakhan Tihsler

Donna, moda e libertà: la sartoria sociale che ricuce i fili di una comunità

«Sono la coordinatrice, nel centro Milano donna del municipio 9, della sua sartoria. All’interno sono attivi più corsi di cucito con diversi obiettivi come generare benessere, prevenzione e cura della salute mentale creando una comunità che funga da antenna per intercettare fragilità e necessità di aiuto, come nel caso della violenza».

 

A raccontarlo è Samanthakhan Tihsler che, dopo aver gestito per anni un atelier di abiti da sposa con un suo brand, ha pensato di unire la sua passione – ovvero la moda – a progetti contro la violenza sulle donne. La sartoria è balzata alle cronache perché ha realizzato, in collaborazione con la fashion designer persiana Sara Behbud, l’abito che Giulia Salemi ha indossato sul red carpet a Cannes.

 

«Sara ha creduto nel progetto proprio perché, come donna iraniana, conosce perfettamente il tema del desiderio di libertà. Non poteva esserci connubio migliore: a marzo abbiamo creato il vestito di Mahasa Rostami, protagonista del film candidato all’Oscar “Il seme del fico sacro”, per il red carpet a Los Angeles. Abbiamo deciso di confezionare il capo nel nostro Centro proprio per rafforzare il concetto di “Donna Vita Libertà”, il famoso movimento nato dopo l’uccisione di Mahsa Amini. Con il compenso dell’abito, proprio come avvenuto con il red carpet degli Oscar, Sara finanzia un corso di sartoria. Lavorare con lei per noi è un valore aggiunto, il suo design parla di unione tra cultura persiana e italiana, valori femministi e universali come la sorellanza».

 

Il lavoro è stato estremamente lungo: l’orlo fatto a mano da Nakisa, sarta persiana anche lei, è stato realizzato in quattro ore. Le stecche erano tutte ricoperte di cadì di seta, il ricamo incrostato a mano.

 

«Abbiamo lavorato nel centro tra uno sportello e l’altro, tra un corso di cucito e infinite ore di docenza. Con questo abito, per noi del Centro Milano Donna, è importante far conoscere tutte le attività che sono disponibili e che tentiamo di tenere sempre attive. La sartoria “sociale” non è sintetizzata con una semplice shopper cucita per pochi euro, ma è studio e impegno che può essere compiuta da tutte, che può essere trasmesso anche durante una risata e dopo una seduta con lo psicologo, che può essere fonte di autonomia economica, di indipendenza e di autostima. Le mie vecchie macchine per cucire, con cui facevo abiti da sposa, sono diventate uno strumento attraverso cui sono nati legami forti, non solo nel nostro team ma anche con le donne che hanno cominciato a frequentare il centro grazie a questa presenza», mi spiega Samanthakhan, quarant’anni, due figlie, di origine indiana, ma cresciuta da un padre metà italiano e tedesco e nata a Milano. 

«Ho viaggiato per il mondo fin da piccola in quanto figlia di fotografi e viaggiatori. Con la mia famiglia di origine ho potuto vivere imprese straordinarie, ho fatto due volte il tragitto tra Milano e India in macchina, girato il Mediterraneo, sempre in macchina negli anni ’80 ho attraversato il Sahara. Ho sempre pensato che la diversità è ricchezza, potenza e cultura. Le donne che seguono il corso di formazione sartoriale riescono a uscire da una condizione patriarcale e si slegano da ruoli che storicamente abbiamo ancora “cuciti” addosso. E devo dire che anche io ogni tanto sento di doverlo fare».

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