Pressione fiscale record raggiunta con un esecutivo di destra. Così si smentisce un vecchio stereotipo

Col governo Meloni più tasse per tutti. E lo dicono i numeri

Uno degli stereotipi più frequenti in campo economico è che i governi di destra taglino le tasse e quelli di sinistra le aumentino. Il governo Meloni però sembra avere avuto un comportamento anomalo: la pressione fiscale è aumentata in Italia da quando Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi. Per capire quanto questo comportamento sia anomalo andiamo a vedere cosa è successo alla pressione fiscale negli ultimi trent’anni (il dettaglio di questo racconto lo trovate in una nota di Enrico Franzetti e Gilberto Turati pubblicata di recente sul sito dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani).

 

A metà degli anni ’90 la pressione fiscale (imposte e contributi sociali in percentuale del Pil) era del 40 per cento. Come parte dello sforzo per entrare nell’euro, il governo Prodi I la aumentò: si arrivò temporaneamente a oltre il 42 per cento, grazie anche a un’imposta una tantum (la “tassa per l’Europa”) volta a passare le forche caudine di Maastricht. Con i successivi governi di centrosinistra (D’Alema e Amato II), si torna al 40 per cento, livello che viene lasciato in eredità a Berlusconi dopo le elezioni vinte dal centrodestra nella primavera del 2001 (sui manifesti troneggiava una promessa: «Meno tasse per tutti»). La promessa viene mantenuta, anche se la riduzione è limitata: nel 2005 si scende al 38,9 per cento. In quella legislatura, la riduzione delle tasse è frenata dall’aumento della spesa pubblica primaria (cioè al netto degli interessi), che, fra l’altro, si mangia il “tesoretto” (un ampio avanzo primario), che era pure stato lasciato in eredità a Silvio Berlusconi. Per correggere questo deterioramento nei conti pubblici, con il Prodi II, la pressione fiscale torna a salire, portandosi al 41-41,5 per cento tra il 2008 e il 2011.

 

Arriva la crisi del 2012. Con il governo Monti, nella necessità di trovare risorse per evitare finanziamenti a tassi di interesse elevatissimi, la pressione fiscale sale a oltre il 43 per cento. Da lì in poi le cose non cambiano moltissimo. Matteo Renzi riduce la pressione al 41,5 per cento; si risale sopra il 42 per cento col Conte I (governo populista) e Conte II (centrosinistra). Si scende col governo Draghi al 41,7 per cento e col primo anno del governo Meloni al 41,4 per cento. Poi la sorpresa: nel 2023 e 2024 la pressione torna a salire al 42,6-42,7 per cento, tra i valori più alti degli ultimi trent’anni.

 

Che conclusioni si traggono da tutto questo? Due in particolare. Primo, l’aumento della pressione fiscale nel 2024, il secondo anno del governo Meloni, è effettivamente anomala: tutti i precedenti aumenti erano stati realizzati da governi di centrosinistra o tecnici. Fra l’altro, nelle previsioni del recente Documento di Finanza Pubblica del governo, la pressione fiscale non è prevista scendere nei prossimi anni. Secondo, e questo è forse il fatto più rilevante, le oscillazioni della pressione fiscale sono state relativamente limitate nel corso dell’ultimo quarto di secolo. Certo, in media nella seconda parte del periodo (dal 2012 in poi), la pressione è stata più alta di quella della prima parte (dal 1995 al 2011): 42,4 per cento contro 40,5 per cento. Ma non si tratta certo di un cambiamento che si possa considerare come trasformativo della forma del nostro Stato, anche se ci siamo avvicinati ai Paesi dove la pressione fiscale è più elevata (la Francia, vicina al 46 per cento, sta sopra a tutti) e allontanati da quelli dove è più bassa (oltre a quelli dell’Est Europa, va segnalata la Spagna, sotto il 37 per cento).

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Garlasco Horror Show - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 6 giugno, è disponibile in edicola e in app