Il governo si lancia nel delirio tributario con una parola d’ordine: accontentare tutti. Quanto meno negli annunci. Da un lato, Giorgia Meloni spezza una lancia a favore del ceto medio, protagonista indiscusso del gettito erariale con quel 22 per cento di contribuenti che paga il 64 per cento dell’Irpef. Dall’altro, il vicepremier Matteo Salvini inneggia alla pace fiscale per conto del suo elettorato di riferimento, le partite Iva, e promette ai giovani industriali tagli all’Ires, l’imposta sulle imprese già abbattuta di 400 milioni nell’ultima legge di Bilancio. In mezzo, ci sono il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il suo vice con delega alle Finanze, Maurizio Leo. Di fronte allo strabismo dei leader di partito, Leo non conferma e non smentisce sull’accordo capra e cavoli che tiene insieme gli aiuti agli autonomi con gli sgravi ai posti fissi. «Possono viaggiare insieme ma bisogna trovare le coperture».
E che ci vuole? L’Agenzia Entrate Riscossione ha teoricamente a disposizione quasi 1300 miliardi di euro in cartelle ancora da riscuotere, più o meno le stesse che Salvini vuole rottamare. All’atto pratico, non è chiaro in che misura possa essere recuperato questo denaro, accumulato lungo un quarto di secolo. La matematica può essere un partito di dura opposizione. La premier ha già dovuto inchinarsi all’evidenza delle accise sui carburanti. Prima di vincere le elezioni, aveva promesso di eliminarle progressivamente, salvo accorgersi che sono indispensabili per mantenere il gettito fiscale. A debito tutto si può fare. Ma il reparto finanziario dell’esecutivo sembra molto affezionato alla discesa dello spread Btp-Bund, arrivato ben sotto quota 100.
Per trovare nuove risorse senza continuare a strizzare i soliti noti si può andare a pesca nel torbido o, meglio, fra i 202 miliardi di economia “non osservata”, secondo la definizione dell’Istat. È una riserva di ricchezza colossale, composta per una quota maggioritaria di 182 miliardi l’anno dalle attività sommerse e per 20 miliardi di euro da business illegali. Al momento, l’esecutivo vanta una crescita delle riscossioni di 2 miliardi di euro nel 2024 per una raccolta complessiva di 33,2 miliardi. Rispetto al 2023 è aumentata del 5,9 per cento, un paio di decimali in più del tasso di inflazione registrato nello stesso 2023.
Un risultato così esiguo marcia in parallelo con l’ultimo rapporto della Dia che segnala oltre un milione di operazioni finanziarie sospette per l’equivalente di 49,2 miliardi di euro. A fronte di questa massa di denaro, sono stati sequestrati 93,4 milioni di euro e ne sono stati confiscati 160. Non proprio un trionfo, percentuali alla mano. Al netto dell’economia criminale, i protagonisti del sommerso prosperano nel lavoro autonomo, nell’alta finanza e, dulcis in fundo, nel calcio che ultimamente è croce piuttosto che delizia, non soltanto per i risultati sportivi.
Le pagelle fiscali basate sull’Isa (indicatore sintetico dell’affidabilità fiscale), che verifica la congruità delle dichiarazioni dei redditi, evidenziano una probabile evasione superiore al 50 per cento in tutte le regioni italiane. I picchi sono, in ordine di piazzamento, in Molise, Calabria e Basilicata con circa il 60 per cento. Ma il 52 per cento medio delle regioni del Nord non è rassicurante perché si applica su una produzione in numeri assoluti di peso enormemente superiore. Fra gli autonomi, le categorie all’indice sono le stesse di sempre. I ristoratori presentano un reddito medio di 15 mila euro l’anno. I balneari che forse affrontano l’ultima estate senza la stretta della direttiva Bolkestein sulle liberalizzazioni arrivano poco sopra i 25 mila euro. Tintorie e lavanderie hanno un Isa del 75,8 per cento. Fanno peggio soltanto i noleggiatori di auto e mezzi di trasporto, poco sopra l’80 per cento.
Nonostante la volontà politica espressa al massimo livello del governo, gli esattori dell’Agenzia delle entrate stanno avendo i soliti problemi con le solite categorie produttive. Le capacità di controllo sono limitate e il personale è insufficiente. L’offerta da parte del governo di un concordato fiscale per sanare il pregresso non ha avuto i risultati sperati. Viceversa, come tutti i condoni dispensati dai governi, ha consolidato la persuasione di potere evadere con la certezza di ottenere uno sconto tanto più ricco quanto è più alta la cifra sottratta all’erario.
Sul fronte della grande industria, l’ultimo caso riguarda Andrea Pignataro. L’imprenditore del software con residenza in Engadina, classificato da Forbes come il secondo italiano più ricco dopo Giovanni Ferrero della Nutella e prima di Giancarlo Devasini della criptovaluta Tether, ha appena chiuso una transazione da 280 milioni di euro in cinque rate per un accertamento da 1,2 miliardi basato sulla localizzazione effettiva delle sue attività transnazionali del gruppo Ion e sulla residenza del proprietario. Il finanziere bolognese ha chiuso l’accordo escludendo, secondo prassi importata dagli Usa, ogni ammissione di colpa. Oltre alla rateizzazione, ha potuto incassare un maxi-sconto superiore all’80 per cento della cifra richiesta.
La questione della residenza effettiva torna nel caso dei tre fratelli Elkann ed è uno dei temi del processo che oppone l’erede dell’Avvocato, Margherita Agnelli, ai figli avuti dal suo primo matrimonio. John, Ginevra e Lapo hanno subito il sequestro di 75 milioni di euro su ordine della Procura di Torino. L’ipotesi di reato, rigettata dai legali degli Elkann, è dichiarazione fraudolenta e truffa aggravata ai danni dello Stato. Inoltre a febbraio gli Elkann hanno pagato all’Ade, un acronimo che suscita reminiscenze infernali, 10 milioni di euro per quello che i legali di famiglia hanno definito una sanzione amministrativa al di fuori della vicenda dell’eredità. Ancora una volta, il pagamento si attesta intorno al 20 per cento della somma contestata e non comporta ammissioni di responsabilità.
L’ultima patata bollente arriva dal calcio. Alcuni club, fra i quali Brescia e Trapani, sono stati sanzionati dalla Figc per avere utilizzato crediti fiscali inesistenti a copertura di stipendi, tasse e contributi pensionistici. Dopo le sentenze della giustizia sportiva è intervenuta anche la magistratura penale che proprio a Brescia ha messo sotto inchiesta venticinque persone. In sintesi, lo schema prevedeva che le scadenze previdenziali e contributive dei club professionistici venissero soddisfatte con titoli di credito comprati e venduti a sconto. L’operazione è basata sulla falsariga delle pratiche finanziarie sugli npl, i non performing loans o debiti incagliati, come si chiamavano una volta. Per anni, gli npl scaricati sul mercato dai principali istituti bancari hanno fruttato molto bene a società specializzate che pagavano venti quello che domani avrebbe potuto fruttare cento o, alla peggio, ottanta.
Con i crediti fiscali la partita sembrava ancora più sicura perché il pagatore finale, sebbene ritardatario, del bonus edilizio 110 per cento è lo Stato. Il problema è che, dopo la sbornia del decreto varato dal governo Conte II, lo Stato ha dovuto prendere atto di parecchie irregolarità, falsi e truffe nella gestione del superbonus. Ugualmente, secondo quanto risulta dall’inchiesta bresciana che è ancora ai primi passi, alcune imprese hanno iscritto a bilancio crediti inesistenti verso l’Erario e li hanno ceduti. Nei prossimi mesi si saprà se i club, come affermano, erano stati truffati da un’organizzazione di faccendieri che avevano piazzato i loro basisti all’interno delle società di calcio o se sono stati in qualche misura complici in una possibile truffa all’Inps, dunque allo Stato.
Per inciso, questo stesso tipo di truffa riguarda la ministra del turismo Daniela Santanchè che, secondo la Procura di Milano, avrebbe percepito in modo indebito 126 mila euro per oltre 20 mila ore di cassa integrazione Covid nel 2020-2022 erogate a 13 dipendenti delle sue società Visibilia Editore e Visibilia Concessionaria. Ma il risarcimento del danno patrimoniale che l’Inps ha accettato ritirandosi da parte civile potrebbe giocare a vantaggio della ministra.