Opinioni
18 luglio, 2025Dietro l’utopia libertaria di una finanza senza controllo gli appetiti di criminali e autocrati
Il 14 luglio 2025 verrà ricordato come il giorno in cui il bitcoin ha superato, per la prima volta, la soglia dei 120.000 dollari, toccando il picco di 121.207,55. Una corsa apparentemente inarrestabile, spinta da un’inedita alleanza tra mercati finanziari, lobby tecnologiche e politica americana. A trainare l’euforia anche l’endorsement esplicito di Donald Trump, oggi più che mai protagonista della scena economica globale, che ha firmato a marzo un ordine esecutivo per la creazione di una “riserva strategica” di bitcoin, equiparando di fatto la criptovaluta all’oro.
Ma dietro l’euforia, si nasconde l’ombra inquietante della criminalità. E per comprenderla, dobbiamo partire dall’origine di questo fenomeno.
Le criptovalute nascono come utopia libertaria: valute virtuali, decentralizzate, non emesse da banche centrali, ma generate da computer in una rete distribuita e gestita tramite blockchain, una tecnologia che garantisce tracciabilità e sicurezza almeno nelle intenzioni. In teoria un’alternativa trasparente e libera alla finanza tradizionale. In pratica, una realtà sempre più ambigua, sulla quale sta puntando la criminalità organizzata.
Oggi il mercato delle criptovalute è un gigantesco ecosistema stimato in oltre 3.500 miliardi di dollari. A produrle sono migliaia di nodi sparsi nel mondo, a detenerle una galassia eterogenea di investitori, dai piccoli risparmiatori ai grandi fondi speculativi. Una galassia nella quale nel tempo si sono però inseriti anche criminali, hacker, trafficanti e governi autocratici.
Il fascino dell’anonimato e l’assenza di un’autorità centrale hanno reso questi asset irresistibili per chi cerca zone grigie. È cosi che le criptovalute non sono rimaste solo una forma di investimento. Nel tempo sono diventate un sistema finanziario parallelo, dove il confine tra legalità e criminalità rischia di essere sempre più labile.
Aumentano i casi di conti svuotati da attacchi hacker, di risparmiatori truffati, di rapimenti lampo per estorcere chiavi di accesso ai wallet digitali. E non è più solo un problema dei nuovi “cripto milionari”. Anche il piccolo investitore, magari con pochi risparmi convertiti in bitcoin, è diventato un bersaglio.
Le mafie lo hanno capito prima degli altri e oggi usano le criptovalute per riciclare denaro e pagare la droga, sfruttando le falle normative. La maggior parte delle transazioni è ancora oggi tecnicamente anonima o difficile da tracciare. Un incubo per le forze dell’ordine e le autorità fiscali.
In questo contesto, l’ottimismo dei mercati americani, galvanizzati dalla promessa di una imminente regolamentazione amica, suona come una sirena pericolosa. Norme chiare sono indispensabili. Ma attenzione: ogni passo verso la deregolamentazione, o, peggio ancora, verso la “normalizzazione” senza controllo, rischia di favorire operazioni illecite come pure di trasformare questo boom in una bolla. Tra l’altro ricordiamoci che Trump non è un semplice spettatore, ma un attore diretto con massicci interessi personali nel settore. La sua decisione di istituire una “riserva strategica” di bitcoin non è un gesto simbolico, ma un’operazione economica e politica che rischia di confermare la sua volontà di imporre una nuova egemonia finanziaria globale, fuori dal perimetro delle istituzioni multilaterali.
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