Opinioni
22 luglio, 2025Occorrono negoziati aperti, inclusivi e trasparenti, equità tra Paesi e voti a maggioranza
Le cose stanno in modo da permettere ai grandi inquinatori e ai Paesi arricchiti con gravi responsabilità storiche di continuare a tenere in ostaggio il mondo. Lo scorso 26 giugno si sono conclusi senza nessun accordo a Bonn, in Germania, dove ha sede la Convezione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), i negoziati intermedi per trovare impegni e soluzioni comuni in vista della trentesima Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà il prossimo novembre a Belem, in Brasile.
«C’è tanto lavoro da portare avanti se vogliamo mantenere vivo l’obiettivo di 1,5 gradi come la scienza richiede», ha detto nel comunicato finale il segretario dell’Unfccc, Simon Stiell. Un’ammissione drammatica. Ci viene fatto capire che l’obiettivo indicato 10 anni fa alla Cop di Parigi come prioritario per la specie umana non è stato raggiunto: l’aumento della temperatura media è già adesso superiore a 1,5 gradi.
Vista la posta in gioco ci aspetteremmo reazioni e proposte della politica: invece niente. Nessun accenno. Meglio parlare d’altro per evitare che la cittadinanza comprenda fino in fondo il disastro a cui i nostri governanti ci stanno condannando scegliendo crescita economica e riarmo. È l’unica priorità alla base delle scelte di chi è al governo, purtroppo spesso condivisa dal centrosinistra. Ed è quella che ci ha portato alla crisi.
Meno male che cittadinanza attiva, movimenti e Ong continuano a non rassegnarsi, denunciando come stanno le cose. A pochi mesi dalla Cop30 di Belem più di duecento realtà impegnate a difendere diritti umani, giustizia ambientale ed ecologica hanno lanciato un appello. Denunciano come l’Unfccc abbia raggiunto un punto di rottura critico, considerando che i negoziati sul clima hanno sistematicamente fallito. Negoziati che hanno sempre emarginato gli Stati vulnerabili, le popolazioni indigene e la società civile. L’espansione e il gigantismo delle Cop non si sono mai tradotti in decisioni migliori e più inclusive. Al contrario, i promotori denunciano come abbiano in realtà aperto le porte all’industria dei combustibili fossili e ad altri grandi emettitori, «consentendo loro di continuare a inquinare impunemente e proponendo costose illusioni per ripulire la propria immagine». Per questo realtà come Climate Action Network, Global Campaign to Demand Climate Justice, Children and Youth Constituency, Women and Gender Constituency e altre, chiedono un cambiamento radicale.
Avanzano proposte efficaci e concrete per rilanciare la diplomazia del clima: negoziati aperti, inclusivi e trasparenti, garantendo l’accesso ai documenti per gli osservatori; garanzie per gli accordi vincolanti; voto finale a maggioranza per impedire a pochi potenti di bloccare le decisioni; finanziamenti pubblici per sostenere con 1.300 miliardi di dollari entro il 2035 le politiche di adattamento e mitigazione, evitando così che i Paesi impoveriti non rimangano ulteriormente incagliati nella trappola del debito, aumentando i ritmi di sfruttamento delle risorse per ripagarlo; rafforzamento dei legami con altre conferenze e trattati complementari (come il Trattato sulla plastica e il Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili) per garantire coerenza nella cooperazione internazionale in tutti i forum. Facciamo Eco!
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