Opinioni
11 agosto, 2025Le spiagge libere? Residuali, decorative, solo corridoi tra un lido e l’altro. In Europa non accade
Agosto, tempo di ferie, code in autostrada e polemiche balneari. E anche quest’anno, puntuale come un’onda che si infrange sempre allo stesso scoglio, è tornata la questione dei lidi. Sono passati diciannove anni — diciannove! — e l’Italia ancora nicchia sulla direttiva Bolkestein, quella norma europea che impone gare pubbliche per le concessioni demaniali, vietando proroghe automatiche e rendite di posizione. Ma noi, si sa, abbiamo sempre avuto un talento tutto nostro nel trasformare le regole europee in carta da fotocopie.
La storia è vecchia, ma la tenacia con cui viene difeso il privilegio è freschissima. Da sempre il centrodestra difende gli attuali concessionari con la stessa tenacia con cui un lido difende i suoi ombrelloni dall’invasione dei bagnanti senza biglietto. E ora che governa, non si sogna certo di cambiare spartito. Così il braccio di ferro con Bruxelles continua tra sentenze del Consiglio di Stato, moniti quirinalizi e sapienti diversivi ministeriali. Sulla carta, tutte le proroghe sono scadute nel dicembre 2024. Nella realtà, siamo ancora lì: sdraiati sotto l’ombrellone della rendita, mentre l’Europa ci guarda come la pecora nera del branco.
Nel frattempo, l’estate 2025 ha aggiunto un nuovo capitolo: molti gestori, soprattutto al Nord, si lamentano per il calo delle presenze. I consumatori, invece, parlano chiaro: i prezzi sono impazziti. In Versilia, per esempio, si è arrivati a chiedere 560 euro al giorno per una postazione. Va detto: c’era anche la cassaforte inclusa. E mentre i prezzi salgono, gli italiani cominciano a gioire delle file disdette: una piccola vendetta estiva per chi ormai considera il costo di un ombrellone e due lettini un privilegio per ricchi. Ma anche se, prima o poi, i concessionari dovranno inchinarsi alla concorrenza, chi crede che questo cambierà tutto rischia di prendere un’insolazione. Perché il problema vero non è chi gestisce le spiagge, ma quanto delle nostre coste è stato sottratto al pubblico.
Basta una passeggiata a Fregene, non lontano da Roma, per capire di cosa parliamo. Si imbocca la strada litoranea e si cerca il mare. Ma non si vede. Al suo posto: una lunga muraglia bianca, a protezione di stabilimenti esclusivi, impermeabili persino agli sguardi. Poi si scopre il dato: il 95 per cento del litorale è in concessione. A Rimini la situazione è appena migliore: il 92 per cento della costa è colonizzata da file serrate di ombrelloni. A Forte dei Marmi, per farsi un bagno, bisogna pagare nel 93 per cento dei casi. Le spiagge libere? Residuali, decorative, a volte solo corridoi tra un lido e l’altro.
Si dirà: succede dappertutto. Sbagliato. In nessun Paese europeo accade una cosa del genere. In Francia, per esempio, esiste dal 1986 la Loi Littoral, che impone regole severe e garantisce l’accesso libero alle spiagge. Risultato? In Costa Azzurra l’80 per cento delle spiagge è gratuito. In Italia, invece, la libertà di fare il bagno resta un diritto teorico, previsto dalla Costituzione ma negato nei fatti.
Certo, ci sono le eccezioni. La Puglia, per esempio, ha imposto per legge un tetto del 40 per cento alle concessioni private. A Gallipoli, capitale estiva del Salento, spiagge meravigliose sono accessibili senza pagare il dazio, con tanto di bagnini comunali e parcheggi gratuiti. Ma è un raro esempio di virtù in un Paese che ha trasformato il demanio in proprietà privata temporanea, rinnovata all’infinito. Eppure, il mare — va ricordato — è di tutti. Ma chi se lo ricorda più, a Montecitorio?
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