Opinioni
16 settembre, 2025Falliti i negoziati per la riduzione e la messa al bando del derivato del petrolio. Ma l’emergenza rimane
La plastica è ormai ovunque, non solo nel nostro ambiente ma persino nei nostri organi, in quelli degli animali e delle piante. La plastica mette in pericolo la salute umana e quella degli ecosistemi da cui dipendiamo per vivere. L’esposizione alle varie forme di inquinamento che l’industria della plastica genera, provoca malattie, morti premature, disabilità. Perché per produrla bisogna estrarre carbone, petrolio, gas, che ne costituiscono le principali materie prime. Ma i problemi sono causati anche dal suo trasporto, dalla raffinazione, dall’uso, dal riciclaggio, dalla combustione e dal suo smaltimento nell’ambiente. Basti ricordare che il 76 per cento della plastica finisce in discarica e ne ricicliamo solo un decimo.
Sul legame tra salute e plastica siamo stati da tempo messi in guardia dalla scienza. Il “Lancet Countdown on health and plastics”, un sistema di monitoraggio globale lanciato dalla rivista medica Lancet, denuncia come la produzione sia passata da 2 milioni di tonnellate del 1950 ai 500 milioni attuali, aumentando di ben 250 volte. Secondo i calcoli, con questa tendenza arriveremo nel 2060 a un miliardo di tonnellate di plastiche prodotte. Consumi, prelievi e inquinamento che non ci possiamo permettere se vogliamo evitare il collasso climatico e le sue conseguenze. E qui torniamo al nodo centrale dei nostri tempi: lo scontro insanabile tra la tutela della salute e del Pianeta e gli interessi di un’economia estrattiva che ha bisogno di continuare a crescere a tutti i costi. Anche facendo guerra ai nostri diritti e alla Terra.
Per queste ragioni tre anni fa l’Unea, United Nations Environment Assembly, ha proposto un trattato vincolante per tutelare la nostra salute e quella della nostra Casa comune. Da qui una serie di negoziati che hanno portato nell’aprile del 2024 ad Ottawa, in Canada, a sviluppare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica. Percorso che lo scorso 15 agosto a Ginevra si è concluso con il quinto e ultimo incontro dei negoziati, che avrebbe dovuto portare finalmente a un Trattato Globale sulla Plastica. Invece, non si è arrivati a nulla. Da un lato 74 Paesi riuniti nella High Ambition Coaliton to End Plastic Pollution, che hanno compreso la necessità di ridurre significativamente la produzione di plastica, sino a eliminarla del tutto entro il 2040. Dall’altro, i Paesi che hanno difeso gli interessi dei maggiori produttori di fossili: Stati Uniti, Paesi Arabi, Russia e altri ancora riuniti nel Like-Minded Group. Ovviamente l’Italia di Meloni è al fianco delle imprese del fossile e di chi avvelena la nostra salute come quella del Pianeta.
Visti i danni sempre più gravi causati dalla plastica alle nostre vite, il problema resta e non può essere nascosto, come vorrebbero le destre negazioniste climatiche e gli adepti della crescita economica infinita. C’è bisogno di trovare un nuovo accordo tra i Paesi che vogliono evitare la paralisi. Se i petrostati non scendono a compromessi allora il resto del mondo deve andare avanti, introducendo limiti alla produzione e standard di progettazione. Abbiamo bisogno di una politica pubblica in grado di incentivare design migliori e domande alternative alla plastica. Come sostiene l’Intergovernmental Negotiating Committee coordinato dal Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente che ha deciso di riprendere i negoziati. Facciamo Eco!
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