Opinioni
19 settembre, 2025Articoli correlati
Il sacrificio dei Sudeti non placò Hitler. La pace non si ottiene con una resa travestita da diplomazia
C’è un filo rosso, inquietante e teso, che lega le pagine più buie della storia delle Novecento all’attualità bruciante del nostro tempo. Lo ha evocato, con la sobrietà e la fermezza che gli sono proprie, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nella lectio magistralis di Marsiglia il 5 febbraio scorso. Non un’iperbole, non un artificio retorico, ma l’indicazione di una lezione che la storia consegna a chi vuole leggerla.
Negli anni Trenta, il nazionalismo esasperato, il protezionismo miope e l’incapacità delle istituzioni internazionali di mantenere la pace spalancarono la strada alle guerre di conquista di Hitler. Oggi, con l’aggressione all’Ucraina, la Russia di Vladimir Putin sembra ripercorrere, passo dopo passo, una traiettoria molto simile. Le parole del Quirinale hanno provocato l’ira del Cremlino: la portavoce Maria Zakharova ha bollato come «oltraggiosi» i paralleli storici.
Ma l’indignazione russa non basta a cancellare le analogie. Il Führer, nel 1938, ottenne a Monaco una sorta di via libera delle potenze europee, convinte che sacrificare i Sudeti alla Germania potesse placarne l’appetito. Sei mesi dopo l’intera Cecoslovacchia era nelle mani naziste. E un altro semestre più tardi toccava alla Polonia. Fu l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Che cosa vediamo oggi? Nel 2014 l’annessione della Crimea. Otto anni dopo, l’invasione dell’Ucraina orientale, giustificata con la presenza di minoranze russofone.
Lo schema è il medesimo: la retorica delle proprie comunità «da proteggere», l’ossessione dei confini, il rifiuto del diritto internazionale. «Historia magistra vitae», ammonisce Mattarella. Eppure, ancora una volta, l’Europa rischia di non ascoltare. La questione è tanto più urgente perché, come ricorda lo storico Alessandro Barbero, esistono punti di contatto profondi tra il malessere tedesco del Dopoguerra e la frustrazione russa seguita al crollo dell’Urss. Allora, con la sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale, milioni di tedeschi si ritrovarono cittadini di nuovi Stati, percepiti come estranei o ostili.
Oggi milioni di russofoni vivono al di fuori della Federazione, nelle repubbliche ex sovietiche che guard no all’Occidente. In entrambi i casi un orgoglio ferito e un senso di accerchiamento sono stati trasformati in strumenti di propaganda e di rivendicazione. Il vero nodo, tuttavia, non riguarda solo la Russia. Riguarda noi. Nel 1938, davanti all’arroganza di Hitler, l’Europa scelse l’appeasement: una resa preventiva travestita da diplomazia.
Oggi, di fronte alla guerra di Putin, ci troviamo davanti a un bivio simile. Siamo disposti a difendere fino in fondo il diritto internazionale, o preferiamo chiudere gli occhi, illudendoci che qualche concessione possa garantire la pace? Fortunatamente le prese di posizione della maggioranza dei membri dell’Unione europea mostrano determinazione nel contrastare l’avanzata russa in Ucraina. Anche perché la lezione dei Sudeti ci dice che ogni cedimento alimenta soltanto nuove pretese. Il Cremlino può gridare allo scandalo, ma i fatti restano. La Russia non è la Germania nazista e Putin non è Hitler. Eppure, la logica dell’espansione territoriale, il disprezzo per le regole comuni, l’uso strumentale della paura ricordano da vicino quegli anni cupi. La domanda che dobbiamo porci è se sapremo reagire prima che sia troppo tardi. Perché la Storia non perdona chi sceglie di dimenticare.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Heil Putin - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 19 settembre, è disponibile in edicola e in app