Opinioni
2 settembre, 2025La scrittrice è tacciata di terrorismo per il sostegno a “Palestine Action”. Ma è ora di schierarsi sul genocidio
Che cosa succede se non si hanno più parole per descrivere il presente? Si prende in prestito, si eredita. «E quando mi ribello, quando mi ribello / i vulcani mi dicono i loro segreti», scriveva il poeta palestinese Samih al-Qasim in “Qasamat”. Il mestiere di scrivere deve anche essere quello di continuare a trovare le parole giuste. L’autrice irlandese Sally Rooney ne sta dando un esempio a tutti i colleghi occidentali. «Voglio essere chiara sul fatto che intendo continuare a sostenere “Palestine Action” e l’azione diretta contro il genocidio», ha detto la scrittrice che rischia una condanna fino a 14 anni di carcere sotto la legge antiterrorismo inglese per il sostegno economico a “Palestine Action”.
L’organizzazione, che descrive le sue azioni come «non violente ma dirompenti», è stata dichiarata terroristica nel Regno Unito lo scorso luglio. Rooney intende, infatti, donare i proventi dai diritti d’autore di bestseller come “Persone normali” e “Conversazione tra amici”, adattati dalla Bbc in serie tv e in Italia editi da Einaudi. A seguito della dichiarazione di metà agosto dell’autrice sull’Irish Times, il portavoce del primo ministro Keir Starmer ha affermato che sostenere il gruppo costituisce reato ai sensi della legge e che l’autrice può sostenere la causa in altri modi. «In questo contesto mi sento in dovere di ribadire ancora una volta che, come le centinaia di manifestanti arrestati, anch’io sostengo “Palestine Action”. Se questo mi rende una “sostenitrice del terrore” sotto la legge britannica, così sia», ha dichiarato quindi Rooney.
Dalla sua fondazione nel 2020, “Palestine Action” ha organizzato principalmente azioni dirette contro i produttori di armi. Nei mesi passati, mentre il Regno Unito continuava a offrire sostegno materiale e diplomatico al genocidio a Gaza, la rete ha fatto irruzione in una base aerea della Royal Air Force e ha imbrattato due aerei con vernice spray. La risposta del governo è stata la criminalizzazione, ponendo il gruppo sullo stesso piano giuridico di al Qaida e dello Stato Islamico. Da luglio più di 700 persone sono state arrestate ai sensi del Terrorism Act per avere collaborato o sostenuto l’organizzazione. Una delle attiviste arrestate ha affermato: «Non siamo noi la storia; il popolo palestinese lo è». La cofondatrice del gruppo, Huda Ammori, ha invece contestato l’imputazione in tribunale, ma nel frattempo qualsiasi espressione di sostegno a “Palestine Action”, anche un semplice cartello o una maglietta, costituisce un grave reato di terrorismo.
«Prima di arrivare a questo punto usiamo tutti i metodi della democrazia», spiega Rebecca Palac del nodo italiano di “Palestine Action”. E aggiunge: «Abbiamo avuto fiducia nel potere di esprimere il nostro dissenso nei termini prestabiliti. Se stiamo agendo in un modo considerato eversivo, è perché nient’altro è servito. Sappiamo ora che le istituzioni non ci tutelano davvero e davanti a una legge ingiusta infrangerla è un dovere. La nostra legge invece ci impone di agire nella non-violenza». Il sostegno esplicito alla Palestina di un’autrice di bestseller non è qualcosa che si vede molto spesso nei Paesi occidentali. Altri autori, se si sono spesi anche solo in una dichiarazione, sono arrivati con un imbarazzante ritardo, ingiustificabile. E proprio nei confronti di chi ha il potere delle parole e del microfono si rimane più delusi. Se non si trovano le parole giuste, le si può sempre prendere in prestito.
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