Opinioni
25 settembre, 2025“No future” per la gran partedel mondo significa futuro assicurato per i grandi ricchi
Stefano Benni creò nel 1992 l’Egoarca Mussolardi, «l’uomo più ricco e fetente di Gladonia» nonché villain de La Compagnia dei Celestini: la parola egocrazia, che oggi usiamo spesso a proposito degli uomini politici con inclinazioni alla tirannia come Donald Trump, era ancora lontana.
Diversi anni dopo, nel 2009, in Pane e tempesta Benni prefigurò un altro scenario, e scrisse: «Nei sogni della notte i cattivi chiedono perdono e i buoni uccidono». Parole che tornano in mente dopo aver letto in rete e fuori la lunga e inquietante discussione che si è sviluppata dopo la morte del suprematista Charles Kirk e si orienta, quasi fatalmente, a giustificare il suo assassino, come era già avvenuto per Luigi Mangione, che a dicembre dello scorso anno sparò a Brian Thompson, amministratore delegato di UnitedHealth Group.
Purtroppo, le reazioni viscerali sono esattamente quel che rafforza gli Egoarchi di oggi, che ogni giorno di più appaiono indifferenti alle sorti dei loro inferiori, inclusi quelli che li servono e magari muoiono al momento giusto. In un articolo già citato di Naomi Klein e Astra Taylor per The Guardian sul fascismo della fine dei tempi, si spiega molto bene che i Trump (ma anche i Putin, ma anche i Netanyahu) portano avanti scientemente una visione apocalittica e survivalista del futuro, dove il mondo crolla e pochi eletti sopravvivono e prosperano in arche e città recintate, su Marte o a New York. Il mondo, insomma, come grande bunker dove le strade e le università e i luoghi di lavoro sono pattugliati quotidianamente e dove spariscono nemici, migranti, oppositori e gazawi.
No future, insomma, ma in modo assai diverso da come immaginavano i punk nel secolo scorso: no future per la gran parte del mondo significa futuro assicurato per i grandi ricchi. Ne è la riprova il fuori onda che qualche giorno fa ha colto la breve conversazione fra il presidente russo Vladimir Putin e il presidente cinese Xi Jinping, laddove il primo dice al secondo: «La biotecnologia si sta sviluppando continuamente, gli organi umani possono essere trapiantati incessantemente. Più a lungo si vive, più si diventa giovani, e si può persino raggiungere l'immortalità». E Xi: «Alcuni prevedono che in questo secolo gli esseri umani potranno vivere fino a 150 anni».
A ben vedere, gli Egoarchi dei nostri tempi hanno un illustre predecessore italiano: Silvio Berlusconi, che si imbottiva di «provitamine, antiossidanti, immunostimolanti, enzimi, amminoacidi, e soprattutto minerali, magnesio e selenio attivato», ricetta del suo medico Umberto Scapagnini, che dichiarava serafico: «Berlusconi è tecnicamente quasi immortale«. A noi, donne e uomini di una certa normalità, sembra follia: ma per sventura nostra non lo è, perché la corsa a provocare il diluvio universale per gli altri corre parallelamente all’antico sogno della pietra filosofale, o del Graal, o di Shan Gri La, dove non si muore mai.
Per questo, la cosa preziosa di oggi è Vivere per sempre di Davide Sisto, che esce per Bollati Boringhieri, dove si analizza il progredire del foreverismo, l’idea appunto che si possa vivere per sempre: noi dal punto di vista digitale, perché si moltiplicano le app che promettono l’eternità apparente, e gli Egoarchi in carne, ossa e trapianti. Almeno, prendiamone consapevolezza e raccontiamolo, e magari riappropriamoci di quanto Benni scriveva sempre in Pane e tempesta: «Sarebbe bello durare quanto i racconti che abbiamo ascoltato e che raccontiamo. Ma loro dureranno più di noi. E anche se il vento ci soffia contro, abbiamo sempre mangiato pane e tempesta, e passeremo anche questa».
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