Opinioni
26 settembre, 2025Articoli correlati
La vera sfida non è creare ministri artificiali, ma formare governanti reali capaci di meritare fiducia
C’era una volta la politica, fatta di uomini, donne, passioni e vizi. Oggi, a Tirana, si apre un nuovo capitolo: il governo albanese ha presentato Diella, “ministra virtuale” generata dall’intelligenza artificiale e incaricata di gestire gli appalti pubblici. Un avatar sorridente, vestito con gli abiti tradizionali, che appare sul portale e-Albania con la missione di spezzare il circolo vizioso della corruzione. Non ci riescono gli umani? Proviamoci con le macchine.
Edi Rama, al suo quarto governo, ha scelto di affidarsi a un’idea che oscilla tra fantascienza e pragmatismo. Diella analizzerà i dati delle aziende candidate, assegnerà punteggi, decreterà i vincitori. Tutto con il rigore di un algoritmo che, almeno sulla carta, non conosce bustarelle né favori di partito. È un gesto potente, carico di simbolismo: il primo esperimento mondiale di un ministro che non respira ma processa informazioni. Ma davvero basta un avatar per cancellare l’ombra lunga della corruzione? L’Ia, per quanto neutrale in apparenza, viene comunque programmata, addestrata, gestita da persone in carne e ossa. Chi controlla l’algoritmo? Quali dati utilizza e con quali criteri? Il rischio è quello di spostare il problema: non più la valigetta passata sotto il tavolo, ma la manipolazione silenziosa del codice. E se il software fosse tarato per favorire un’impresa vicina al potere? Chi avrebbe la competenza e il coraggio di scoprirlo?
C’è poi la questione democratica. Un ministro, reale o virtuale che sia, non è solo un tecnico. È un responsabile politico, chiamato a rispondere delle proprie scelte davanti ai cittadini, al Parlamento, alla stampa. Un algoritmo non si emoziona, non si vergogna, non chiede scusa. Non vota leggi, non discute in aula, non si assume la responsabilità morale di un eventuale fallimento. Diella potrà garantire trasparenza procedurale, ma non sostituirà la dimensione pubblica e politica del potere. Eppure, la tentazione è forte. Se un’Ia può ridurre sprechi, eliminare favoritismi, velocizzare pratiche, perché non affidarle un ruolo crescente? Quanti governi logorati da scandali sognerebbero di delegare alle macchine ciò in cui gli uomini hanno fallito? L’esperimento albanese ci costringe a confrontarci con una realtà che fino a poco tempo fa sembrava pura distopia: la cessione del potere decisionale alla macchina. Se un ministro virtuale può gestire gli appalti, perché non un ministro della Sanità? O dell'Istruzione? E se Diella avrà successo, potremmo vedere altre nazioni seguire l'esempio. Immaginate un futuro in cui un "Primo Ministro Ia" prende decisioni su larga scala, basandosi su un'analisi fredda e implacabile di dati economici, sociali e ambientali. Un leader senza sentimenti, senza empatia, ma teoricamente infallibile.
Sarebbe un progresso o una resa? Sarebbe un mondo più efficiente? Forse. Sarebbe un mondo più giusto? Non è detto. La politica non è solo una questione di dati e calcoli. È l'arte di mediare, di dialogare, di ascoltare, di comprendere le istanze della società. Cedere tutto questo a un algoritmo significherebbe rinunciare a una parte fondamentale del nostro essere umani. L’esperimento albanese pone un interrogativo a tutti noi: quanto siamo disposti a delegare alla tecnologia? Fino a che punto accettiamo che la democrazia diventi un calcolo? Forse la vera sfida non è creare ministri artificiali, ma formare governanti reali capaci di meritare fiducia, senza costringerci a invocare l’algoritmo come ultimo argine. Perché se un giorno davvero saremo governati dall’Ia, non sarà l’intelligenza artificiale ad aver vinto. Saremo noi ad aver perso.
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