Opinioni
4 settembre, 2025Il Garante dei detenuti pubblicai dati. Ma, sulla loro gravità, va in scena un triste cortocircuito
La polemica sul numero dei suicidi in carcere non può essere ridotta a un effetto del caldo agostano. Perciò è utile ricapitolare i fatti.
Il Garante nazionale per i diritti delle persone private della libertà pubblica il report mensile sui suicidi in carcere e sugli eventi critici, riferito al periodo gennaio-luglio 2025, e un’agenzia di stampa rilancia i dati mettendo in luce la gravità del fenomeno. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, si risveglia dal torpore e dichiara che i suicidi sono diminuiti. Anche Irma Conti, a nome del Collegio del Garante, conferma la soddisfazione: solo 46 rispetto ai 58 dell’anno prima. “Ristretti Orizzonti” certifica, invece, 56 suicidi: una discrepanza probabilmente dovuta a morti avvenute non in carcere, ma in ospedale dopo i soccorsi. A quel punto, il professor Mario Serio, altro membro del Collegio, denuncia l’iniziativa personale e si appella al presidente del Garante, Riccardo Turrini Vita, che mantiene un silenzio assoluto.
Il ricordo va ai polli di Renzo di manzoniana memoria e giustamente la giunta dell’Unione delle Camere penali ha chiesto un intervento per ridare credibilità a un’istituzione allo sbando.
Tuttavia, il report offre un’analisi che merita di essere seguita non facendosi distrarre da una disputa che ha un sapore di necrofilia. Il dato che colpisce maggiormente sono i 30 decessi per cause da accertare, rispetto agli 11 del 2024. Resta il fatto che – se si sommano i decessi per varie cause (soprattutto per «cause naturali») – gli ultimi tre anni segnano un aumento vertiginoso, da 101 a 146. Dei 46 suicidi, 44 erano di sesso maschile e due femminile, 24 italiani e 22 stranieri; in relazione alla popolazione carceraria, si rileva un rischio suicidario significativamente più alto per i detenuti stranieri. Ancora: 17 suicidi sono stati di persone in custodia cautelare e 16 di persone in prossimità del fine pena e comunque con una pena inferiore ai tre anni.
A questo proposito, la relazione contiene valutazioni e suggerimenti: l’attivazione di percorsi alternativi al carcere nella fase finale della pena, come l’affidamento in prova o la semilibertà; il potenziamento dei servizi territoriali di accompagnamento al reinserimento, con particolare attenzione alla salute mentale; la costruzione anticipata del progetto di vita già durante la detenzione. Importante la censura per la pratica dell’isolamento punitivo e del contenimento, con la clamorosa denuncia che 36 eventi (78,26 per cento) sono avvenuti nelle Sezioni a custodia chiusa, con evidente correlazione tra livello di restrizione e propensione al suicidio, tanto da porre il problema della legittimità di tale condizione. Solo due casi riguardano l’alta sicurezza, ciò conferma che la detenzione sociale va eliminata.
I numeri dei tentati suicidi (1.123), degli atti di autolesionismo (7.486), degli atti di contenimento (448) e delle manifestazioni di protesta (individuale 6.736 e collettiva 680) indicano poi una realtà terrificante. In questo quadro, va rilevata la corresponsabilità del Servizio sanitario pubblico: una riforma tradita, se non fallita.
Il report, infine, lancia un allarme preciso: «Senza una riduzione cospicua del numero dei detenuti e senza seri investimenti nell’esecuzione penale esterna, la situazione, già insostenibile, potrà solo peggiorare». Da qui, probabilmente, la reazione scomposta di Nordio.
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