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Il marocchino Abdel Touil è stato scagionato dalle accuse, perché i controlli di polizia e carabinieri hanno confermato che la sua scheda telefonica era stata presa dal trafficante che lo ha fatto arrivare clandestinamente nel nostro paese. Con la scheda rubata, lo scafista ha chiamato più volte, dal 16 al 18 marzo, almeno due presunti terroristi, entrambi tunisini.
Il primo ha 30 anni ed è ricercato come organizzatore della strage nel museo: è accusato di aver partecipato anche alla riunione finale dell’intero commando omicida, il 17 marzo. Lo scafista e il presunto regista della strage si sono sentiti, sempre con la scheda sottratta a Touil, anche il 18 marzo, alle 15.15, poco dopo l’eccidio dei turisti. Nelle stesse ore, la scheda di cui si era impossessato lo scafista ha contattato anche un altro jihadista tunisino, che ha 35 anni ed è già in carcere come presunto complice dei terroristi.
Il ruolo del «trafficante di uomini e armi» - come lo definiscono gli inquirenti - viene specificato dalle prime confessioni di un altro arrestato: un combattente tunisino che ha ammesso di essersi addestrato in Libia fino al gennaio 2015, in un campo militare controllato dai jihadisti di Ansar Al Sharia. Dopo l’arresto, il guerrigliero ha rivelato di aver ricevuto seimila dinari tunisini dal capo di quella milizia islamista, che ha giurato obbedienza al cosiddetto Stato islamico. Per ordine del suo emiro, chiamato Abu Abdallah El-Libi, il tunisino dice di aver consegnato metà di quella somma proprio allo scafista del barcone di Touil: il compenso per «trasportare in modo nascosto dalla Libia alla Tunisia» i due terroristi rimasti uccisi nella strage.
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