Già nel corso del 1992 l’inchiesta Mani Pulite coinvolge diversi manager di società del gruppo Fiat, soprattutto per le forniture alle aziende pubbliche di trasporti e per le costruzioni di ospedali e infrastrutture. Dopo gli arresti di vari dirigenti di società controllate, il 24 aprile 1993 l'amministratore delegato, Cesare Romiti, consegna ai magistrati un memoriale, indirizzato al procuratore capo, Saverio Borrelli, con l'ammissione che anche il primo gruppo industriale italiano ha pagato tangenti ai partiti.
Romiti scrive che i controlli interni hanno confermato che almeno sei società del gruppo «non hanno potuto resistere» e hanno dovuto accettare «un sistema altamente inquinato». Il memoriale si chiude con i nomi dei manager Fiat pronti a confessare e con l’elenco degli appalti per cui hanno versato tangenti ai collettori e tesorieri dei partiti.
Al memoriale è allegato il verbale della riunione chiave dei vertici del gruppo, con i proprietari Gianni e Umberto Agnelli, che il 13 aprile hanno approvato la linea di «collaborazione con la magistratura».
Personalmente Romiti si difende, giurando di aver saputo delle corruzioni solo dopo l'avvio delle indagini di Mani Pulite: «Sinceramente non immaginavo», scrive. Il top manager addossa al direttore finanziario del gruppo, Francesco Paolo Mattioli, la responsabilità di aver gestito i fondi neri utilizzati per pagare i partiti. Nel processo per falso in bilancio, celebrato a Torino, i magistrati condannano anche Romiti.