"Quel giorno morì il fotogiornalismo"

L'assassinio di Jfk segnò la morte del fotogiornalismo tradizionale e l'avvento dell'era del citizen journalism. Il parere di Brian Wallis, curatore della mostra sull'attentato di Dallas all'Icp Center di New York

Brian Wallis ha curato la mostra dell'International Center of Photography sull'attentato di Dallas, visto con gli occhi della gente comune.

Lei parla apertamente di “fallimento” dei fotoreporter a Dallas, quel giorno...
L'assassinio di Kennedy produsse una sorta di crisi nel mondo del fotogiornalismo convenzionale, perché nessuno dei molti fotoreporter presenti sulla scena riuscì a catturare il momento degli spari. I media poterono fare affidamento sulle sole immagini scattate da fotografi amatoriali, come Abraham Zapruder e Mary Moorman. Di fatto, la loro rappresentazione di quell'evento storico inaugurò una visione soggettiva della notizia, minando l'autorevolezza del fotogiornalismo classico.

Possiamo considerare l'assassinio di JFK come il primo, vero evento di giornalismo partecipativo, malgrado si ritenga comunemente che il fenomeno sia collegato all'avvento della fotografia digitale e quindi piuttosto recente?
Sì, quegli spettatori con le loro macchine fotografiche popolari sono stati in effetti i precursori dell'attuale “citizen journalism”.

Il filmato di Zapruder fu mostrato per la prima volta in televisione soltanto nel 1975, quasi dodici anni dopo l'assassinio. Perché?
Subito dopo I fatti di Dallas, Abraham Zapruder vendette il video alla rivista Life, che ne rimase in possesso sino al 1975 senza mai autorizzarne la sua visione pubblica. Negli undici anni successivi, furono mostrati solo alcuni fotogrammi tratti dal filmato e alcuni nastri abusivi, peraltro molto granulosi. Il 13 marzo 1975, lo studioso del caso (e teorico del complotto, ndr) Robert Groden prese parte allo show tivù “Good Night America” con Geraldo Rivera e mostrò per la prima volta quei drammatici 26 secondi.

Possiamo fare un parallelismo tra l'attentato di Dallas e quello alla maratona di Boston del 15 aprile scorso, in quanto ad uso investigativo delle foto e dei filmati scattati sulla scena da cittadini comuni?
Sono due casi sostanzialmente differenti. Vero è che, in entrambi, le foto scattate sono state usate per cercare di ricostruire la scena del delitto, ma le prove fotografiche e la loro valenza sono piuttosto diverse. A Boston, sono state soprattutto le informazioni fornite da decine di videocamere di sorveglianza a consentire l'individuazione degli autori dell'attentato. Nel caso di Dallas, le immagini popolari scattate dagli spettatori e che mostravano le vittime dell'attentato (anche il governatore del Texas Connally rimase ferito, ndr) vennero usate per sostenere le tesi d'accusa contro il presunto responsabile. A differenza delle immagini di Boston, quegli scatti amatoriali non immortalarono mai il presunto sparatore sulla scena del delitto, e la sua responsabilità non è mai stata provata in modo davvero convincente.

Mezzo secolo dopo, l'assassinio di JFK è ancora una ferita aperta per la società americana?
Sì, lo è. In parte perché Kennedy era un leader amato e carismatico; in parte, perché la sua uccisione è rimasta essenzialmente irrisolta. La stragrande maggioranza degli americani crede che il presidente sia stato ucciso come risultato di un complotto (“The Conspiracy”) e che il governo abbia insabbiato la verità.

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