"Mancini", tuonava il generale, "prima ha distrutto tutti quelli che potevano dargli ombra o che potevano impedire le sue cose... Poi a quelli rimasti li ha premiati... encomi a nastro, promozioni a non finire, scalate fantastiche... perché aveva il rapporto preferenziale con il direttore, che faceva tutto quello che gli diceva... Quindi ha fatto con altra moneta la stessa cosa di Tavaroli". Per tre anni questo colloquio era rimasto nei cassetti dei pm che indagano sulla rete degli spioni Telecom. Oggi però i magistrati di Milano ne riesaminano il contenuto. Lo spettro del grande ricatto nei confronti del mondo politico e, persino, di importanti esponenti delle istituzioni e dei servizi di sicurezza, infatti, di settimana in settimana prende più quota.
Il primo campanello d'allarme è stata la scoperta di un nuovo archivio di centinaia di tabulati telefonici dal quale, secondo quanto 'L'espresso' è in grado di rivelare, sono emersi, per la prima volta, anche numeri 'istituzionali', intestati direttamente alla presidenza del Consiglio. I carabinieri della Procura hanno per ora identificato solo alcuni utilizzatori di quei telefonini riservatissimi: sono funzionari e dirigenti dei servizi segreti, spiati illegalmente all'epoca del governo Berlusconi. Le indagini sulle vittime dei controlli illeciti però proseguono e promettono grosse sorprese.
Un primo bersaglio di questo spionaggio telefonico, un alto ufficiale che aveva fatto carriera nei carabinieri, è già stato ascoltato come parte lesa tre settimane fa. Dalla sua deposizione è emersa la storia di uno 007 ostile alla cordata di Mancini. Poi, quando gli sono stati sottoposti altri numeri di telefono ufficialmente intestati a Palazzo Chigi, il dirigente dei servizi di sicurezza ha riconosciuto quelli di alcuni portatili ancora in uso a dei suoi colleghi. A che cosa servivano quei controlli illeciti? Gli investigatori ipotizzano che fossero un'arma per imbastire manovre contro agenti segreti considerati nemici. Un attacco alle istituzioni, dall'interno degli apparati più delicati per la sicurezza dello Stato.
Per questo è stata sentita di nuovo, nei giorni scorsi, Caterina Plateo, la dipendente di Tim-Telecom che aveva già testimoniato sui primi tabulati scoperti dalla Procura. Con qualche vuoto di memoria, la funzionaria ha confermato di aver acquisito personalmente gran parte dei nuovi numeri, sostenendo che a darle l'ordine sarebbe stato sempre e solo Adamo Bove, l'ex poliziotto diventato manager che è morto nel luglio 2006 precipitando da un viadotto in un apparente suicidio con troppi misteri. Gli inquirenti stanno verificando la completezza della deposizione della testimone, che dal 2004 era diventata la più stretta collaboratrice di Fabio Ghioni, poi arrestato come organizzatore di una squadra di spionaggio informatico e avversario dichiarato di Bove. Magistrati e carabinieri sono molto cauti, perché sembra troppo comodo scaricare tutte le colpe sul morto. In ogni caso Plateo può parlare solo di chi le impartiva l'ordine, non di chi l'aveva dato al suo superiore. Di certo, in linea gerarchica, Bove doveva obbedire a Tavaroli. Che invece finora ha sempre sostenuto di aver spiato solo numeri di ipotetici terroristi arabi per aiutare il Sismi, non per controllarne illegalmente i dirigenti.
In questa torbida atmosfera si aggiunge ora un secondo campanello di allarme. Man mano che si avvicina gennaio, il mese in cui la Corte costituzionale dovrà decidere se considerare ammissibile il ricorso della Procura contro la legge che impone la distruzione di tutti i dossier spionistici, si moltiplicano le fughe di notizie riguardanti politici finiti nel mirino degli uomini della Security Telecom. Nelle mani dei magistrati c'è da tempo un lungo elenco di dossierati di centrodestra e centrosinistra. In gran parte si tratta di notizie raccolte dal detective fiorentino Emanuele Cipriani, titolare dell'agenzia Polis d'Istinto. In qualche caso erano finite anche sulla scrivania dell'ex direttore del Sismi, Nicolò Pollari. È stato proprio Marco Mancini a raccontarlo ai pm dicendo di aver ricevuto nel 2003 due fascicoli riguardanti le attività economiche del segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa, e una serie di conti esteri apparentemente riconducibili ai Ds. Due fascicoli che su ordine di Pollari sarebbero stati poi mostrati ai diretti interessati: Cesa e il braccio destro di Massimo D'Alema, Nicola Latorre (entrambi però smentiscono).
Che cosa contengano quelle carte adesso è abbastanza chiaro: i documenti su Cesa sono sostanzialmente identici a una lunga lettera anonima inviata nel 2005 a tutti i maggiori quotidiani e settimanali con il trasparente obiettivo di danneggiare non tanto il segretario del partito di Casini, ma un imprenditore che aveva avuto rapporti con lui: Salvatore Di Gangi, il re della sicurezza privata nella capitale. Di Gangi, fanno notare gli investigatori, era infatti uno dei concorrenti commerciali di una serie di amici di Tavaroli impegnati a Milano nel business della sicurezza.
Più complesso è invece il dossier riguardante i Ds, di cui nessuno per ora ha potuto verificare l'autenticità. All'interno figurano estratti conto di istituti di credito esteri, il nome di un presunto fiduciario di un importante leader diessino e documenti sull'Oak Fund con sede alle Cayman, un fondo che compare nel novero dei soci di Bell, la holding lussemburghese creata da Emilio Gnutti per dare la scalata a Telecom assieme a Roberto Colaninno. Si tratta di carte raccolte nel 2002, poco dopo la conquista di Telecom da parte di Marco Tronchetti Provera, su disposizione di Tavaroli. A quell'epoca infatti Tronchetti voleva vederci chiaro sui fortunatissimi azionisti di Bell e per questo Tavaroli si era dato da fare dando un preciso incarico al suo collaboratore fiorentino, Emanuele Cipriani.
Ricostruire la genesi del dossier non basta però per stabilire se sia una vera bomba o un falso. Una decina di anni fa proprio Fabio Napoleone, uno dei tre pm di Telecom, si era già imbattuto in fascicoli simili che interessavano dei big dell'industria farmaceutica. In apparenza tutto quadrava, ma alla fine i documenti bancari si erano rivelati delle patacche. Adesso la situazione è ancor più complicata. Da una parte c'è la legge, sospettata di incostituzionalità, che intima la distruzione di tutto e vieta qualsiasi indagine su notizie di reato contenute nei fascicoli spionistici. Dall'altra c'è la prescrizione, che farebbe nascere già morta un'eventuale inchiesta sulla Bell.
Ma non è finita. Negli ultimi mesi perfino i cronisti si sono visti offrire più volte documenti in teoria esplosivi. Alcuni sono stati contattati addirittura su Second Life, il mondo virtuale di Internet, da 'avatar' che proponevano fascicoli tanto scivolosi quanto scottanti. Insomma qualcuno sta mestando nel torbido. E sempre più spesso lo fa con carte a rischio. Un esempio per tutti. Nel 2002-2003 in Brasile si è svolto un epico scontro tra gli uomini della security di Telecom e quelli della Kroll, l'agenzia investigativa statunitense che lavorava per il finanziere Daniel Dantas, grande avversario di Tronchetti per il controllo di Brasil Telecom.
All'epoca, uno dei successi vantati dalla security italiana era stata l'acquisizione di dati riservati estratti dai computer dei detective americani. Dopo le prime operazioni di hackeraggio però la Kroll corre ai ripari. Crea un sito civetta dove nasconde dei file contenenti informazioni fasulle anche su esponenti della politica italiana. Una trappola per ingolosire i curiosi, che funziona: il sito civetta finisce sotto attacco e viene svuotato dei suoi veleni. Solo che è tutto falso