I giovani scienziati dicono no alla Chiesa perché non li rappresenta. Ma trovare un terreno comune si può
La vicenda del no di Papa Ratzinger alla visita a La Sapienza
non è uno scandalo a cui gridare, ma un segnale di disagio importante su cui riflettere. Dobbiamo domandarci quali sono le ragioni del gesto ribelle, che denuncia una rottura apparentemente insanabile fra i giovani scienziati e la Chiesa. Le lamentele giovanili riguardano le vicende della vita pubblica degli ultimi anni nel nostro Paese caratterizzate da una crescente ingerenza della Chiesa. E questa può essere la prima motivazione.
Basta pensare
al referendum sulla modifica alla legge sulla fecondazione assistita del 2005. Il mondo cattolico ha espresso a pieno diritto il suo pensiero: ciò che è grave, però è che non ha raccomandato ai fedeli di votare sì o no in base alle proprie convinzioni, ma di
astenersi dal voto. Questo è stato vissuto allora come un invito a non partecipare alla vita politica e a non esercitare un diritto/dovere fondamentale di ogni cittadino, minando i principi della democrazia.
Una seconda ragione su cui i movimenti giovanili insistono è la
posizione antiscientifica sistematicamente assunta dalla Chiesa su alcuni dei risultati più significativi della ricerca mondiale. Mi riferisco allo studio delle cellule staminali embrionali, alle possibilità della diagnosi pre-impianto e in generale alla genetica applicata all'uomo, ma soprattutto all'opposizione all'evoluzionismo. Ogni volta i giovani si domandano se è giusto impedire la ricerca in nome di un'ideologia o una fede. Si chiedono perché il nostro Paese langue nell'immobilismo e perché devono andare all'estero per studiare, se scelgono di realizzarsi in una scienza laica.
La terza ragione, che alla seconda concettualmente si lega, è da ricercare nelle posizioni cosiddette etiche della Chiesa. Negli ultimi anni abbiamo assistito a
un no anch'esso sistematico agli anticoncezionali, all'uso dei preservativi, alla RU 486 per l'interruzione di gravidanza meno traumatica, al testamento biologico e all'autodeterminazione delle persone. Posizioni da rispettare in quanto espressioni coerenti di una fede, ma che invece di rimanere tali, influenzano l'evoluzione giuridica del Paese. Consideriamo anche che questa storia recente si innesta su un passato, nell'ultimo secolo, caratterizzato dalla forte opposizione della Chiesa ad alcune grandi conquiste sociali. Pensiamo al divorzio, all'aborto o addirittura, andando più indietro nel tempo, all'istruzione per tutti e, più recentemente, all'insegnamento di Darwin nelle scuole.
A mio parere
la frattura fra Chiesa e mondo scientifico-laico non è irrecuperabile. Esiste una possibilità di dialogo e uno dei compiti della scienza è proprio quello di trovare dei terreni comuni per un'alleanza, come è dichiarato nella Carta di Venezia, il documento sottoscritto dai partecipanti alla prima Conferenza mondiale sul Futuro della scienza, promossa dalla fondazione che porta il mio nome. La Chiesa operante, quella che si batte contro la povertà, la fame, la pena capitale, si impegna in campi comuni alla scienza ed è animata dallo stesso spirito umanitario.
Credo, d'altro canto, che l
a Chiesa da parte sua debba rinnovarsi nei rapporti con la vita sociale e debba rivisitare i fondamenti dei suoi insegnamenti morali, aggiornandoli in base ai nuovi bisogni dei giovani. Per la mia amicizia personale con molti esponenti del clero, penso anche che debba aprire un dibattito sulle proprie regole interne: sulla proibizione al matrimonio dei sacerdoti, che crea le condizioni favorevoli per la pedofilia, e sul sacerdozio femminile, senza il quale la Chiesa si dà un mantello di maschilismo che certo non aiuta il suo contatto con le nuove generazioni.