Gli errori della sinistra, le scelte del Pd, il crollo della sinistra radicale. All'indomani della sconfitta elettorale l'analisi di Massimo Cacciari, sindaco di Venezia e dirigente del Pd, in un'intervista a l'Espresso

Quali errori ha commesso il centrosinistra? Ne abbiamo parlato con Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, dirigente del Pd e Cassandra inascoltata.

Walter Veltroni ha dato spazio a imprenditori del Nord. Non è bastato. Dov’è lo sbaglio?
«Non si è trattato di mosse errate quanto insufficienti. La questione settentrionale non era aggirabile con qualche ottima candidatura, come quella di Colaninno o quella, meno brillante, di Calearo. Sono scorciatoie: o il Pd comprende che al Nord si deve dare una struttura autonoma, dal punto di vista della leadership e dei programmi, radicata territorialmente e socialmente, oppure rimarremo minoritari. Anche nel momento della formazione del Pd, con Penati, Illy, Chiamparino, abbiamo cercato di spiegare che il partito doveva nascere federale, con due facce, una nazional-popolare e una settentrionale. Questo discorso non passa. Invece il centrodestra l’ha compreso: Fini “sopporta” l’autonomia leghista nel Lombardo-Veneto. In realtà gli elettorati di Lega e Forza Italia sono contigui: un popolo formato da miriadi di microimprese, commercianti, moltissimi operai incazzati e anche settori dell’imprenditoria organizzata. Un popolo interclassista».

Veltroni, decidendo di “andare da solo”, ha buttato alle ortiche l’unica chance per la sinistra di andare al governo. È così?
«Per carità, non andando da solo il Pd avrebbe abortito al sesto mese. Adesso bene o male c’è un patrimonio, il Pd, che ha avuto un buon risultato da cui ripartire, certo per una lunga marcia. In compagnia avremmo perso peggio: non si sarebbero sommati per niente i voti presi oggi dal Pd con quelli della sinistra radicale».
 
La dissoluzione della sinistra radicale è un fatto solo negativo o mostra un elettorato più maturo che vuole votare solo forze con una cultura di governo?
«Anche all’interno della Sinistra Arcobaleno, penso ai verdi, ci sono componenti che vogliono governare e non solo protestare. Non è però l’aspetto decisivo. Piuttosto quella sinistra ha scontato la sua visione preistorica della realtà sociale del Nord. Si è manifestata come una forza conservatrice, staccata dalle trasformazioni sociali. Ciò è certo negativo perché una presenza radicale dentro una politica di centrosinistra è fisiologica, è bene che vi sia rappresentata. C’è nella socialdemocrazia tedesca, nei laburisti, in Francia, con Zapatero. L’anomalia italiana sta nel fatto che tali componenti, anziché riconoscersi all’interno di una grande forza di governo, vogliono fare da sole».

L’affermazione di Di Pietro indica che ci voleva un po’ più di “giustizialismo” da parte del Pd?
«Non direi. Idv è un “partito ad obiettivo”. Una parte di elettorato del centrosinistra, pur accettando la logica maggioritaria, vuole dare un’immagine autonoma rispetto al soggetto egemone della coalizione. Niente di male. Lo stesso avviene per la Lega Quali errori ha commesso il centrosinistra? Ne abbiamo parlato con Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, dirigente del Pd e Cassandra inascoltata. Walter Veltroni ha dato spazio a imprenditori del Nord. Non è bastato. Dov’è lo sbaglio? «Non si è trattato di mosse errate quanto insufficienti. La questione settentrionale non era aggirabile con qualche ottima candidatura, come quella di Colaninno o quella, meno brillante, di Calearo. Sono scorciatoie: o il Pd comprende che al Nord si deve dare una struttura autonoma, dal punto di vista della leadership e dei programmi, radicata territorialmente e socialmente, oppure rimarremo minoritari. Anche nel momento della formazione del Pd, con Penati, Illy, Chiamparino, abbiamo cercato di spiegare che il partito doveva nascere federale, con due facce, una nazional-popolare e una settentrionale. Questo discorso non passa. Invece il centrodestra l’ha compreso: Fini “sopporta” l’autonomia leghista nel Lombardo-Veneto. In realtà gli elettorati di Lega e Forza Italia sono contigui: un popolo formato da miriadi di microimprese, commercianti, moltissimi operai incazzati e anche settori dell’imprenditoria organizzata. Un popolo interclassista».

Veltroni, decidendo di “andare da solo”, ha buttato alle ortiche l’unica chance per la sinistra di andare al governo. È così?
«Per carità, non andando da solo il Pd avrebbe abortito al sesto mese. Adesso bene o male c’è un patrimonio, il Pd, che ha avuto un buon risultato da cui ripartire, certo per una lunga marcia. In compagnia avremmo perso peggio: non si sarebbero sommati per niente i voti presi oggi dal Pd con quelli della sinistra radicale».

La dissoluzione della sinistra radicale è un fatto solo negativo o mostra un elettorato più maturo che vuole votare solo forze con una cultura di governo?
«Anche all’interno della Sinistra Arcobaleno, penso ai verdi, ci sono componenti che vogliono governare e non solo protestare. Non è però l’aspetto decisivo. Piuttosto quella sinistra ha scontato la sua visione preistorica della realtà sociale del Nord. Si è manifestata come una forza conservatrice, staccata dalle trasformazioni sociali. Ciò è certo negativo perché una presenza radicale dentro una politica di centrosinistra è fisiologica, è bene che vi sia rappresentata. C’è nella socialdemocrazia tedesca, nei laburisti, in Francia, con Zapatero. L’anomalia italiana sta nel fatto che tali componenti, anziché riconoscersi all’interno di una grande forza di governo, vogliono fare da sole».

L’affermazione di Di Pietro indica che ci voleva un po’ più di “giustizialismo” da parte del Pd?
«Non direi. Idv è un “partito ad obiettivo”. Una parte di elettorato del centrosinistra, pur accettando la logica maggioritaria, vuole dare un’immagine autonoma rispetto al soggetto egemone della coalizione. Niente di male. Lo stesso avviene per la Lega».