Non solo Napoli e la Campania. L'emergenza spazzatura ormai travolge anche Sicilia e Calabria. Le aziende incaricate dello smaltimento finiscono sotto accusa. Mentre cresce l'allarme per le infiltrazioni mafiose
L'onda della spazzatura non si ferma a Eboli. In Campania la crisi prosegue ininterrotta da Natale e solo il maltempo impedisce che si trasformi in dramma. Il caos però si insinua più in giù lungo la Penisola, verso la Calabria e la Sicilia. Una piena di sacchetti che rischia di fare breccia nella stessa falla: i consorzi incaricati della raccolta. Nelle due regioni non ci sono problemi di discariche ma tanti guai nelle società che devono gestire lo smaltimento e che rischiano di trasformarsi in una catastrofe per i bilanci dei comuni, chiamati ad accollarsi debiti e crisi. La Corte dei Conti ha appena definito gli enti siciliani strumenti di "governance di scelte politiche" che "sommano sia i difetti del pubblico sia i difetti del privato". Nel mirino la gestione clientelare dei partiti. E l'infiltrazione mafiosa diventa concreta nelle indagini condotte in Calabria.
Abisso Campania Nonostante gli annunci la situazione peggiora sempre più a Napoli e, soprattutto, in provincia. Non si contano più le tonnellate di rifiuti, ma i metri lineari che invadono le strade o quelli che si inerpicano fin sotto i balconi dei palazzoni di periferia. Lungo via Nazionale delle Puglie, che da Poggioreale alla periferia di Napoli attraversa una decina di comuni fino a Nola, lo spartitraffico tra le due corsie di marcia è ormai fatto di sacchetti. A Ercolano, il sindaco Nino Daniele ha chiesto l'aiuto del capo dello Stato: "Il Parco del Vesuvio rischia il collasso e le presenze dei turisti negli scavi archeologici sono crollate". E anche con l'apertura delle discariche sono in molti a temere che non tornerà l'ordine. Perché il vero problema è la raccolta straordinaria. Gli uomini e i mezzi dell'esercito da soli non bastano a ripulire le città dalla monnezza ammassata, almeno prima che il caldo renda l'aria irrespirabile. Servirebbero rinforzi per svuotare gli stoccaggi temporanei e azzerare la marea nera. Per ora, l'unica certezza è che a Napoli arriveranno nei prossimi giorni un migliaio di volontari della Protezione civile per avviare il porta a porta della raccolta differenziata. Mentre sono già sbarcati squadre speciali di vigili del fuoco per rafforzare le misure di controllo sui rifiuti che vanno in discarica. Ora è lo Iodio 131 il nemico da battere. È saltato fuori tre volte in una settimana. Prima ad Amburgo, dove finiscono i treni che portano i rifiuti nel cuore d'Europa. Poi a Marcianise, su un treno in partenza. Infine a Savignano Irpino, proprio nella prima delle discariche inaugurate dopo mesi e che dovrebbe contribuire a portare la Campania fuori dall'emergenza.
In attesa che si avvii anche quella di Sant'Arcangelo a Trimonte, nel Beneventano, resta solo da annunciare formalmente il via libera per Chiaiano. Aprirà, perché ormai è un simbolo, anche se funzionerà a scartamento ridotto. Non sembrano esserci problemi eccessivi, tranne i costi per la messa a norma di un sito 'osservato speciale' da gestire con oculatezza. L'imperativo è: avanti adagio. Così, rispetto al progetto originario, a Chiaiano finirà poco più della metà dei rifiuti previsti: 400 delle 700 tonnellate annunciate. Ma è il ritrovamento di quei rifiuti speciali ospedalieri a preoccupare. C'è chi grida addirittura al complotto o alla messinscena. I meno preoccupati sembrano gli esperti di Bertolaso. A segnalare la presenza di quei rifiuti provenienti da qualche laboratorio di radiologia, infatti, erano stati proprio gli uomini della task force del generale Giannini. Segno, è il ragionamento, che ora c'è chi controlla e i cittadini possono fidarsi.
Sos Sicilia A Enna è allarme sanitario, certificato dal dipartimento di igiene in una nota inviata al sindaco Rino Agnello: i netturbini sono senza stipendio da tre mesi e molti cucinano con un fornellino da campeggio, visto che l'azienda del gas ha tagliato la fornitura della mensa per morosità. Così, aggrediti dal caldo e ormai in putrefazione i sacchetti ricolmi di immondizia stazionano ovunque, ai bordi delle strade di Enna bassa, in mezzo alle viuzze del centro storico, a tracimare dai cassonetti strapieni per 11 giorni. A Palermo la Procura ha dovuto aprire un'inchiesta, l'ennesima, sull'azienda di raccolta dei rifiuti: gli 'operatori ecologici' hanno incrociato le braccia nelle ore di straordinario, ma il risultato è stato lo stesso: in una notte sono stati incendiati venti cassonetti e l'immondizia circonda il Palazzo di giustizia, l'ospedale Civico, le strade a ridosso via Libertà, il salotto del capoluogo siciliano. "Vogliamo chiarire come sia possibile che sottraendo solo il tempo degli straordinari la situazione possa degenerare in modo così imponente", ha detto il procuratore Francesco Messineo .
Enna e la sua provincia, da Piazza Armerina ad Assoro, sono diventati il simbolo dell'emergenza rifiuti, prevedibile fin dall'inverno scorso per il caos gestionale in cui navigano gli Ato, i consorzi per la raccolta e lo smaltimento ormai alla bancarotta, certificata anche dal ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo: "La questione rifiuti ad Enna ha assunto contorni preoccupanti. Gli Ato si sono rivelati una fabbrica di poltrone e di posti assolutamente inadeguati sul piano gestionale". I comuni non pagano il servizio e a Enna operai e amministrativi sono senza stipendio da tre mesi. Qui, dove la raccolta differenziata raggiunge percentuali infinitesimali, il primo Ato sorto in Sicilia conta ben 660 dipendenti, dei quali 120 amministrativi, e ha fatto lievitare le bollette del 300 per cento per le utenze domestiche e fino al 500-600 per quelle industriali. Risultato: nessuno paga più, e il contenzioso ha dato ragione ai cittadini inferociti, che in larga parte non versano più la tassa dal 2003.
Il buco nero Sotto accusa il primo consiglio di amministrazione dell'Ato, che con i suoi 70 milioni di debiti assorbe un quarto del buco di tutti e 27 gli Ambiti Territoriali preposti alla raccolta in Sicilia, sette membri indagati per 101 assunzioni ritenute di favore, per reati societari e contabili nella costituzione del rapporto con i comuni. A presiederlo Serafino Cucuzza, vicino al Pd, "adesso premiato con la presidenza dell'Ato idrico", dice ironicamente Ilaria De Simone, animatrice di Assoutenti. Anche la Corte dei conti ha condannato gli Ato senza appello: i camion e i mezzi sono vecchi e insufficienti, le discariche poche e non autorizzate, la prestazione massima di spazzamento dei netturbini (2,5 km lineari), appare "decisamente bassa". Sarà per questo che il neo governatore siciliano Raffaele Lombardo tra i suoi primi atti di governo ha firmato il decreto che prevede la riduzione degli Ato da 27 a 10, ovvero uno per provincia con l'aggiunta di un decimo per le isole minori. Entro ottobre dovranno costituirsi i nuovi consorzi ed entro il 31 dicembre le 27 attuali società dovranno essere liquidate e i debiti accollati dai Comuni. Una mazzata per le amministrazioni, costrette ad assorbire i buchi di bilancio che pregiudicano il pagamento delle buste paga.
Raccolta al rallentatore Senza stipendi sono infatti da mesi anche i dipendenti di MessinaAmbiente, la società su cui indaga la Procura per i suoi rapporti con l'Ato3 dopo gli episodi di guerriglia urbana delle scorse settimane, quando vennero bruciate decine di cassonetti. E scioperi all'orizzonte si profilano anche a Ragusa, dove gli operai della Icom di Vittoria da un mese senza stipendio hanno scelto per ora il 'lavoro al rallentatore'. Ma la magistratura contabile va oltre e si chiede perché esistano Ato come quello di Palermo "atteso che il servizio continua ad essere organizzato e svolto dalla precedente azienda municipalizzata Amia", anch'essa sull'orlo della bancarotta, con un buco che sfiora i 95 milioni e che cresce, secondo i contabili del Comune, di 3 milioni al mese. Voragine che non ha impedito al presidente Enzo Galioto, coordinatore provinciale di Forza Italia di riconoscere un premio di 356 mila euro diviso tra 28 dirigenti dell'Amia per aver raggiunto non meglio precisati 'obiettivi qualitativi' nella gestione dell'azienda.
Bidoni calibro nove Dieci anni di commissariamento e oltre mezzo miliardo di euro in investimenti: ma ora la gestione dei rifiuti in Calabria, almeno dal punto di vista amministrativo, sta uscendo dall'emergenza. Il rapporto Ecomafia di Legambiente mostra una situazione pericolosa: è al secondo posto nella classifica di reati ambientali, subito dopo la Campania. Il poco invidiabile primato è dovuto a 4.141 infrazioni accertate, 816 sequestri, pari al 13,7 per cento dei delitti ambientali commessi in Italia. La fine dell'era commissariale riapre il nodo irrisolto dell'affaire rifiuti in Calabria: le società miste della raccolta, che anche qui hanno generato debiti su debiti. Anche perché non è mai stata convocata la commissione tecnica regionale che avrebbe dovuto monitorare il loro operato. Con il risultato che la maggioranza societaria detenuta dai comuni è diventata pressoché inutile, lasciando mano libera ai privati. L'elenco delle società miste finite sul lastrico e mandate in liquidazione è già lungo.
La regione è divisa in due macrosistemi, ma da Reggio a Catanzaro, il problema è sempre lo stesso: le società miste. Parecchie zone d'ombra, poi, si addensano sulle possibili infiltrazioni mafiose. Nella mani degli inquirenti le tracce, più o meno evidenti, degli interessi mafiosi nella gestione del business spazzatura. Le inchieste, sia a Catanzaro che a Reggio, vanno avanti da un paio d'anni, ma hanno subito una rapida accelerazione con la cattura di Pasquale Condello, superlatitante della 'ndrangheta preso lo scorso febbraio dagli uomini del Ros. I 'pizzini' di Condello offrono uno spaccato dell'infiltrazione della mafia nella pubblica amministrazione. E dell'interesse delle cosche calabresi per il ciclo dei rifiuti. Raccomandazioni, consigli e indicazioni riferibili alla Leonia, la società pubblico privata che gestisce la raccolta a Reggio, sono ora nelle mani della Dda. Proprio la Leonia era finita nel mirino degli investigatori già lo scorso anno, nella maxi-inchiesta contro le cosche del reggino, che portò a un mandato di cattura, con l'accusa di concorso esterno per associazione mafiosa, per un consigliere comunale di An, l'ex poliziotto Massimo Labate.
Il politico ricopriva anche l'incarico di presidente della commissione tecnica di controllo della Leonia per conto dell'amministrazione comunale. Più che di conflitto d'interessi, una convergenza vera e propria. Tanto che nell'ordinanza di custodia cautelare, il gip Concettina Garraffa sottolineava il possibile interesse di Labate per favorire l'assunzione di alcune persone segnalate dalla cosca Libri. Sempre la Leonia è al centro di episodi di cronaca avvolti nel più totale mistero. "Qui succedono cose che non ho visto neanche a Palermo, con assalti armati ai camion dei rifiuti", sottolinea il capo della squadra mobile di Reggio, Renato Cortese. L'uomo che catturò Bernardo Provenzano: "Aspettiamo i risultati delle indagini in corso, ma qui per il controllo dei rifiuti si spara". E chi muore spesso viene dimenticato. Come Alessandro Abruzzese. Con i colleghi della cooperativa Rom 95 si occupava della raccolta differenziata porta a porta. Il loro lavoro dava fastidio: erano riusciti a ottenere immobili requisiti alle cosche. Abruzzese è stato ucciso a colpi di pistola mentre si recava al lavoro. Dimenticato in un silenzio assordante.