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La pineta bollente del Presidente

Castel Fusano: prostitute, baracche, droga, attacchi incendiari. Alle porte di Roma e accanto alla residenza di Napolitano

Daniela mostra la sua baracca in mezzo al bosco e scoppia a piangere. L'agente della Forestale s'impietosisce: "Non ti preoccupare, nessuno verrà a sgomberarvi. Per adesso". Daniela si asciuga faticosamente le lacrime e ricomincia a riassettare quello spazio a cielo aperto, nel cuore della pineta di Castel Fusano, che solo lei può chiamare casa. Due brande affiancate, sotto un tendone affacciato su una fila ordinata di misere scarpe da uomo e da donna. Un altro telone, tre metri a fianco, copre un terzo materasso di fortuna. La cucina è un forneletto sbilenco, con una bombola di gas seminascosta nella parete di alberi. Nella pentola con i resti dei fagioli in umido banchettano le formiche, che Daniela rovescia a terra come nell'ennesimo atto di una lotta estenuante. Il bagno è una sedia volutamente sfondata, infilata nel terriccio e protetta su tre lati da una specie di paravento. L'odore è nauseante. Tra lecci, corbezzoli, ginestre e pini domestici da cartolina, il bosco a 200 metri dal mare è lordato da distese sterminate di rifiuti.

A mezzo chilometro in linea d'aria, della pineta restano solo mozziconi di alberi e terra carbonizzata dal più grave incendio dell'estate 2008. Daniela ha visto il fuoco e ha paura. Dov'è tuo marito? "Lavoro, lavoro", risponde in romeno Daniela, 38 anni, indicando con un braccio la direzione delle gru e del cemento del XIII municipio della capitale. Il marito e suo fratello sono muratori. Vivono in Italia da due anni. Lavorano in nero nei cantieri dell'Infernetto. Hanno i documenti in regola, ma nell'edilizia selvaggia sono senza nome. Fantasmi, che escono all'alba, con decine di altri manovali stranieri, dai tendoni di questa assurda baraccopoli cresciuta a macchia di leopardo nella pineta tra Roma e Ostia, dove tutti rientreranno sfiniti dopo il tramonto. Perché vivete qui? Gli occhi neri di Daniela s'illuminano mentre mostra una foto, appesa a uno specchio sul tronco di fronte alla tenda: è il suo bambino, 'Gheorghe', 5 anni, riccioli biondi e occhi azzurri, che li guarda dall'alto e sembra un angelo michelangiolesco messo a guardia dei disperarti. "È rimasto con i nonni, nel nostro villaggio in Transilvania. Tutti i nostri risparmi vanno a lui".

"Sono almeno 800, ma potrebbero essere il doppio", secondo il Corpo forestale dello Stato, gli immigrati che, come Daniela, suo marito e il cognato, vivono in tende e baracche sotto i pini secolari di Castel Fusano, nel bosco mediterraneo di 1.100 ettari che separa Roma dal mare. Non è una tendopoli e nemmeno una comunità, per quanto irregolare. È solo un dormitorio collettivo, un alveare disordinato di baracche isolate. Dallo sterrato che una nigeriana usa come alcova si apre un sentiero tra i rovi, difeso malamente da pali appuntiti e corde annodate a campanelli, che porta a due tende. A cinque minuti di cammino tra rami e spine, spunta un'altra baracca, accanto alla ferrovia. Venti alberi più a nord ce n'è un'altra, di quattro metri quadrati. L'ha costruita uno dei primi abitatori della pineta, visto che ha le pareti di legno, il tetto di lamiera e addirittura una porta con la serratura. Questa e altre baracche sono in fondo al bosco, a pochi metri in linea d'aria dalla fila di bar, ristoranti, discoteche e stabilimenti balneari del Lido di Ostia, dove migliaia di romani si stanno divertendo spensierati. Le tende degli ultimi arrivati sono in mezzo alla pineta, lontano dagli sguardi degli italiani che corrono, vanno in bicicletta, pattinano con i bimbi.

La riserva naturale confina con Castel Porziano, la spendida tenuta del presidente della Repubblica, che è difesa e recintata a dovere. Appena fuori dalla residenza estiva del capo dello Stato, comincia l'inferno. Centinaia di prostitute di ogni colore vendono sesso tra gli alberi. Lavorano divise in tre turni: mattino, pomeriggio e sera. Il bosco è diviso per nazionalità: le cinesi aspettano i clienti sedute sui tronchi in fondo a viale Cristoforo Colombo. Romene e ucraine sono in piedi, accanto alle loro utilitarie, negli sterrati interni. Le più richieste sono le ragazzine slave con la faccia pulite, che si vendono sullo stradone del lungomare, accanto a matrone assise su sedie di plastica. Con le africane non corre buon sangue. "L'ultima rissa è finita a coltellate", dice una agente della forestale. Nessuna prostituta ammette di avere il protettore. Neppure Patrizia, 39 anni, romana con i segni di una lunga tossicodipendenza. Quanto paghi per lavorare nella pineta? "Niente. Io sono libera". Il capo-pattuglia della forestale scuote la testa: "Pagano tutte. Se non versassero il pizzo a una delle loro mafiette, non potrebbero occupare neanche un metro di bosco".

Di fronte alle prostitute, le famigliole italiane voltano la testa, ma lo spettacolo visibile è solo il girone più esterno di un impressionante ipermercato del sesso celato nell'ombra. E quando cala la notte, i due stradoni asfaltati che tagliano la pineta sono il regno dei viados. Corpi nudi e seminudi, che agitano le luci delle pile per richiamare i clienti in macchina. La comunicazione è essenziale: "Venti euro bocca, 30 tutto", ride una cerbiatta brasiliana spalancando la bocca rifatta come tutto il resto. Paghi anche tu, per stare qui? "No, io non ho protettori". Nell'ultimo sterrato a destra prima del mare, a cento metri dalla rotonda di Ostia, lavorano decine di ragazzini romeni. Si appartano con plotoni di gay (molti gli anziani) in sentieri disseminati di preservativi, fazzoletti usati, escrementi, immondizia.

Costantino ha 19 anni e due splendidi occhi blu mare che però sembrano spenti. Il suo capetto, Dimitri, ne ha 29 e sfoggia una canottiera arrotolata come un reggiseno. Mostrano senza problemi i documenti in regola e si offrono a due clienti chiedendo "25 euro a testa" per "una cosa in quattro". Gli spacciatori non mancano, girano sul lungomare di fronte alla tenuta presidenziale. Ma a questi ragazzi di vita la droga la portano i clienti italiani. Cocaina, eroina, hashish, quanto serve per stordirsi in certi servizi. Dormono anche loro con il popolo invisibile delle baracche. I 12 agenti del comando della Forestale li contano quando vanno alle fontane a prendere acqua. "Si ammalano, soprattutto d'inverno, ma non vanno in ospedale perché hanno paura. Vengono qui in caserma a chiedere aiuto quando ormai sputano sangue".

Per il comandante della Forestale, Gianni Gobbo, il problema non sono i baraccati, né le prostitute con i loro spacciatori e sfruttatori: "Questa pineta ha subito più di 20 attacchi incendiari in due mesi. È come una guerra". Una sfida allo Stato, che dopo il grande rogo del 2000 (in fumo 290 ettari di bosco), dall'8 agosto schiera i primi 50 soldati, con infrarossi e mimetiche. Come si è arrivati a mandare l'esercito di notte in una pineta della capitale, il comandante lo spiega descrivendo un'escalation: "Il 5 giugno abbiamo iniziato la vigilanza interforze con polizia e carabinieri. Puntualmente, quattro giorni dopo, abbiamo trovato i primi quattro inneschi accesi. Servivano solo a testare la nostra velocità di reazione. Il 4 luglio, il giorno dell'anniversario del disastroso incendio del 2000, c'è stato il primo attacco professionale: le fiamme sfioravano il campeggio già bruciato otto anni fa, gli elicotteri hanno dovuto sganciare 55 carichi d'acqua per limitare il rogo a dieci ettari. Il 15 luglio è iniziata la guerra. Hanno sistemato di notte tre grossi inneschi e li hanno accesi contemporaneamente a mezzogiorno, con il vento. I focolai erano inaccessibili, per domarli abbiamo dovuto abbattere un muro di alberi".

Era solo l'inizio. Mentre i forestali proclamano la 'massima allerta', che rende disponibili due Canadair della protezione civile, gli incendiari continuano a disseminare la pineta di inneschi. Forestali e forze di polizia hanno diviso il bosco in cinque quadranti, ma le esche di fuoco s'incendiano ovunque. Il 26 luglio, alle 9 del mattino, esplode una gomma da camion piena di benzina nel quadrante delle prostitute straniere, che fuggono terrorizzate. I pini resinosi bruciano come torce. Alle 11 e 30 i vigili del fuoco stanno ancora spegnendo i tronchi carbonizzati, quando nel quadrante più prezioso, con alberi di tre secoli, due bottiglie di liquido infiammabile accendono altri due pneumatici colmi di benzina. Alle 12 e50, mentre gli altri tre incendi sono ancora fuori controllo, ne scoppia un quarto, in una zona vergine.

"Hanno collocato gli inneschi negli unici punti dove i nostri mezzi non possono entrare senza le ruspe", testimonia uno dei sei vigili del fuoco che si alternano nella pineta nei giorni strappati al riposo, in cambio di straordinari che lo Stato paga con 15 mesi di ritardo. "Ci hanno bruciato 40 ettari di bosco: un lavoro da professionisti, è l'incendio più grave dell'estate", precisa il comandante della forestale: "Il rogo era mirato, hanno voluto dimostrare che potevano colpire l'area di rimboschimento, la stessa che era bruciata nel 2000". Sull'incendio indaga la Procura di Roma. L'inchiesta punta contro 'personaggi di spessore'. Con esecutori legati alla criminalità organizzata. Forse è solo una coincidenza, ma accanto alla pineta, due giorni prima del rogo, è stato scoperto il cadavere di un italiano ucciso da un'overdose. Ed è di pochi mesi fa il giallo del ritrovamento di un laziale, vittima di un sequestro di persona mai chiarito: vivo, ma con mani e piedi legati come per incaprettarlo.

La grande pineta alle porte di Roma non è solo il terreno di scontro tra piccoli e grandi boss che sfruttano la prostituzione, lucrano sullo spaccio e taglieggiano i baraccati. La riserva naturale di Castel Fusano è anche una barriera legale contro la speculazione edilizia e le eco-mafie. I sequestri di immobili abusivi a Fregene, le inchieste sulle infiltrazioni mafiose nel comune di Pomezia, o l'incredibile scoperta di una discarica di amianto attiva per anni, hanno sicuramente infastidito i pescecani del mattone e dei rifiuti. E grossi appetiti scatenano anche gli appalti per la gestione del verde e lo stesso rimboschimento dopo gli incendi. Per i criminali economici, la pineta è un ostacolo agli affari che politici e funzionari locali vorrebbero incoraggiare. Per i delinquenti che sfruttano la manovalanza straniera, è un porto franco dove nascondere droga e merce ricettata, come i motorini rubati e i depositi di stereo accatastati fra le baracche. Ma chi fa i soldi sulla pelle dei disperati non dorme nella pineta.

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