Il palazzo dell'Innominato a Brignano d'Adda, nella Bergamasca, se l'è comprato sei mesi fa. La storica dimora di Francesco Bernardino Visconti, il 'malvagio e impunito assassino' di manzoniana memoria gli è costata una dozzina di milioni. Spiccioli o poco più per l'imprenditore Giuseppe Grossi, 67 anni, re della spazzatura made in Lombardia, asso pigliatutto delle bonifiche ambientali, proprietario di uno sterminato patrimonio immobiliare. Grossi, da mesi, è sotto i riflettori dei magistrati milanesi che indagano su un giro di fondi neri legati ai cantieri del quartiere milanese Santa Giulia del costruttore-finanziere Luigi Zunino. Una quindicina di milioni approdati sui conti bancari di una società off shore di Madeira e provenienti da aziende di Grossi. Soldi di cui si conosce l'origine ma non la destinazione finale.
Gli investigatori tedeschi che hanno dato il via all'inchiesta ricostruendo i movimenti dei rifiuti arrivati in Germania da Santa Giulia, nelle loro carte parlano di "sospetti di infedeltà, evasione fiscale nonché corruzione". Per questo negli ambienti politico-finanziari milanesi da giorni c'è grande agitazione. Grossi infatti può vantare agganci a tutti i livelli. A destra, soprattutto, ma anche a sinistra. Dal governatore Roberto Formigoni al potente deputato pavese del Pdl, ras della sanità lombarda, Giancarlo Abelli, dal presidente della Provincia di Milano Filippo Penati al sindaco di Sesto San Giovanni, Giorgio Oldrini, fino a Paolo Berlusconi e Mario Resca, il manager di lungo corso a cui il ministro dei Beni culturali Sandro Bondi ha appena affidato la gestione dei musei italiani.
Quasi un parterre de roi di cui Grossi si è saputo guadagnare la fiducia in anni e anni spesi trattando bonifiche e smaltimento di rifiuti con le amministrazioni locali e nazionali e, appena poteva, portando a caccia, nelle sue tenute sull'Adda o in Argentina, o a sciare in val Chiavenna, i politici e gli imprenditori conosciuti durante la sua fin qui fortunata carriera. Sì, perché Grossi il proprietario di un gruppo da 200 milioni di fatturato, si è fatto davvero da solo. Adesso la sua Green Holding, controllata da società lussemburghesi, governa una galassia di aziende, tra cui la Sadi quotata in Borsa, che fanno utili a palate. Ma da principio, una trentina di anni fa, il futuro re della bonifiche, figlio di una coppia di fruttivendoli arrivata a Milano dal Veneto, sbarcava il lunario come rappresentate di caramelle. E in famiglia quello destinato a far carriera sembrava suo fratello Dante, proprietario di una gioielleria a Milano, e poi vittima di un agguato a colpi di pistola alle gambe nel marzo del 1990.
Dante oggi è il responsabile della filiale italiana del produttore giapponese di orologi Citizen; Giuseppe invece si è messo in proprio facendo i soldi con i rifiuti. Il padrone del gruppo Green Holding, per muoversi usa preferibilmente l'elicottero, che atterra nel giardino della sua villa a Inzago, colleziona auto di lusso e vanta contatti nell'alta finanza con i fratelli Magnoni e l'ex banchiere della Lehman, Gianfranco Paparella. Il suo è un impero fondato sulla spazzatura a cui però l'attivissimo Grossi ha affiancato business paralleli, a cominciare da quello immobiliare. Il castello dell'Innominato, per esempio, arriva dal fallimento della Cirio di Sergio Cragnotti. Il re Mida della monnezza se l'è aggiudicato all'asta quando tra i commissari del gruppo agroalimentare c'era Resca, l'ex amministratore delegato di McDonald's Italia, grande amico di Silvio Berlusconi. Non basta. Altre operazioni legate al mattone Grossi le ha concluse con Zunino e con i Putignano, ricca famiglia di costruttori pugliesi. Ma il suo vero grande affare sono i terreni inquinati, quelli delle aree industriali dismesse che, a volte, rischiano di trasformarsi in vere bombe ambientali.
Intorno a Milano per gli operai di Grossi il lavoro non manca mai. A Sesto San Giovanni, per esempio, si è occupato di bonificare la periferia di quella che era la Stalingrado di Italia. Quando il solito Zunino acquista gli ex stabilimenti Falck e affida a Renzo Piano il compito di disegnare una nuova città, Grossi è lì per far piazza pulita dei veleni nascosti nelle fondamenta. A Montecity va in scena lo stesso copione. Zunino progetta Santa Giulia e il suo amico addetto alle pulizie rimuove la pericolosa eredità delle aziende chimiche che sorgevano sulla zona. Ma la grana peggiore che la coppia Zunino Grossi si è fin qui trovata ad affrontare è quella dell'area Sisas di Pioltello, dal nome dell'azienda chimica fallita nel 2001 dopo aver scaricato nel terreno 450mila metri cubi di nerofumo, una sostanza che può essere cancerogena.
Sul destino di quest'area si combatte da anni una complessa partita politico-amministrativa. Zunino e Grossi, interessati alla bonifica, ma anche ai futuri sviluppi immobiliari, hanno giocato in pressing per ottenere i via libera politici necessari all'affare. Si sono mossi in regione con la giunta del governatore Formigoni, hanno bussato alle porte della provincia dove hanno incontrato il presidente Penati e i sindaci dei paesi su cui ricade l'ex Sisas. Il 20 dicembre del 2007 è stato siglato un accordo di programma per la bonifica che coinvolgeva anche il ministero dell'Ambiente. Ma tutto oggi è ancora fermo. Su quei terreni Zunino vorrebbe costruire un centro commerciale (l'ennesimo in quella zona), ma il comune di Pioltello si oppone proponendo di realizzare un polo tecnologico e un termovalorizzatore. Risultato: l'impasse totale, mentre la regione e il ministero dell'Ambiente, sotto minaccia di nuove sanzioni da parte dell'Unione Europea, tentano di trovare un accordo. Mission (quasi) impossible perché di recente si sono messe di traverso anche due aziende proprietarie di terreni adiacenti a quelli della fallita Sisas: l'Antibioticos (ex Carlo Erba) e la francese Air Liquide.
Grossi che pure è abituato da sempre alle estenuanti trattative con le controparti pubbliche e private, segue con comprensibile preoccupazione la vicenda. Anche perché a Bergamo ha aperto un fronte per versi analogo. Questa volta però non si parla di bonifiche, ma dell'ampliamento dell'inceneritore di Dalmine. La società Rea Dalmine della famiglia Grossi (controllata dalla Sadi quotata in Borsa) gestisce un impianto considerato tra i più avanzati ed efficienti dell'Italia settentrionale. Tanto efficiente da bruciare monnezza proveniente non solo dalla provincia di Bergamo, ma anche da Sondrio e Varese. L'azienda viaggia in utile, grazie anche alla vendita di energia prodotta dallo smaltimento dei rifiuti, ma i Grossi non si accontentano. E hanno già presentato un progetto per una terza linea dell'inceneritore, sfidando le proteste degli abitanti della zona. Dopo un sostanziale via libera della Provincia, anche in questo caso il pallino è in mano alla Regione. Secondo i critici, se arriverà l'ok, l'impianto, che aumenterà del 60 per cento la sua capacità, finirà per diventare una specie di polo di attrazione per i rifiuti di mezza Italia, a partire da quelli campani già affluiti a Dalmine in passato.
La richiesta di ampliamento è stata presentata in Regione addirittura un anno fa, ma l'opposizione trasversale al progetto, dai verdi a una parte della Lega, ha fin qui bloccato tutto. Grossi comunque non dispera. Al Pirellone dicono che i suoi rapporti con Formigoni, da sempre più che buoni, si sarebbero raffreddati. Ma il re mida di Inzago conserva comunque ottime relazioni con l'entourage della famiglia Berlusconi. E poi se dovesse andar male, poco importa. I Grossi hanno in mano una carta di riserva: un nuovo progetto immobiliare sull'area di un vecchio zuccherificio a Casei Gerola, in provincia di Pavia. Sponsor dell'operazione i soliti amici: Resca e Abelli.