I sondaggi li danno molto vicini, tra il 40 e i 43 per cento dei consensi; mentre, spiace dirlo, pur battendosi con forza il terzo candidato, Valerio Onida, giurista di valore, cattolico, figura meno vicina ai partiti, appare (intorno al 15 per cento) ormai battuto, forse sfavorito dai 74 anni di età. E non è mai entrato in gara il quarto, l'ambientalista Michele Sacerdoti.
Autunno cupo a Palazzo Chigi, ma a Milano non ci si annoia. La battaglia per il sindaco, con la Moratti in carica ancora sotto esame dell'indebolito Cavaliere, ha ridestato spirito civico, speranze, passioni come non accadeva da 15 anni. La sensazione che provare a vincere non sia più una chimera.
Perché qui il mondo dei partiti è stato spiazzato da candidature della società civile nel pieno senso del termine. E in un ampio arco di opinione pubblica ha prodotto sollievo: finalmente si può scegliere tra candidati espressi dalle forze proprie della città. Stavolta il centrosinistra non gestisce Milano come una pedina di scambio da manuale di Realpolitik: l'agnello da immolare dove non si può vincere, e le energie forti canalizzate altrove, da Torino a Napoli. Stavolta no.
Certo a Milano un partito che rischia più degli altri c'è, ed è il Pd.
La scommessa è ardita, la maggior parte del partito appoggia Stefano Boeri, un esponente della borghesia professionale illuminata (come Pisapia e Onida) con un profilo internazionale (insegna anche a Harvard, negli Stati Uniti). Ma se Boeri alle primarie fosse battuto da Pisapia, che ha tra i suoi sponsor il predicatore trendy Nichi Vendola, pronto a benedirlo il 6 novembre al Teatro Dal Verme con l'incenso asperso da Gad Lerner, le ripercussioni nazionali sarebbero forti. "So bene di rischiare", dice il segretario metropolitano del Pd Roberto Cornelli, "il partito milanese ci ha messo la faccia, con Bersani e con gli alleati. Siamo convinti della concretezza di Boeri, che ha una visione innovativa ed europea ma conosce la città nei dettagli; e appoggeremo lealmente, pancia a terra, chiunque vinca". Difende il modello primarie? "Sì, perché sono le primarie del centrosinistra, non del Pd, equivoco alimentato ad arte: ci aspettiamo una partecipazione superiore agli 80 mila stimati inizialmente".

L'editore Rosellina Archinto vota Pisapia? Sua figlia Alberica, Boeri. Si dividono le signore dell'assistenza e del volontariato: con l'avvocato, Francesca Floriani; con l'architetto, Maria Grazia Guida della Casa della Carità. Lo scultore Arnaldo Pomodoro è in dubbio, l'artista Tullio Pericoli pure, Carlo Feltrinelli tace (ma preferisce Boeri), sua madre Inge chissà. È lacerata la dinastia editoriale Mauri. Il design e i creativi tendono a Boeri, da Luca De Padova a Fabio Novembre a James Irvine, ma Gae Aulenti no. Non c'è pace tra banchieri ed economisti: silenzio da Alessandro Profumo, ma sua moglie Sabina Ratti è in prima fila agli incontri con Pisapia (Piero Schlesinger e Salvatore Bragantini restano fedeli a Onida). Fibrillazione anche in casa dell'editore de "L'espresso": Carlo De Benedetti ha avuto Pisapia come avvocato, ma nutre viva stima per Boeri...

"La sfida è nazionale", osserva Boeri, "anche perché Milano vuol tornare a imporre idee proprie in politica. Non vogliamo i segretari nazionali paracadutati a darci l'imprimatur, ma al contrario raccontargli noi come stiamo lavorando. Sono fiducioso, sento fermento, tra il volontariato, le associazioni, gli studenti, le inziative sociali, i quartieri". Boeri sta lanciando le sue Cinque Giornate, incontri sulla scuola, la sicurezza (consulte di quartiere su modello londinese), l'ambiente e la mobilità, il lavoro, la casa.
Diffonderà idee nuove sul trasporto pubblico, il verde, il quoziente famiglia (aiuti e sgravi fiscali a chi assiste anziani soli, disabili, malati), la trasparenza amministrativa (anagrafe degli eletti).
Pisapia risponde dov'è più esperto: la tutela dei più deboli, la sicurezza (non il coprifuoco) nelle periferie, la mediazione tra italiani e immigrati, la guerra allo spaccio. La semplificazione dei servizi civici, un'urbanistica difensiva rispetto alle mire delle immobiliari, la lotta alle mafie. "A Milano-città, dove alle ultime provinciali lo scarto tra centrodestra e centrosinistra era di soli 20 mila voti, è possibile vincere. E se vinco", dice, "parlerò ai moderati delusi, a laici e cattolici, alla borghesia e alle partite Iva. Credo di essere apprezzato per l'attitudine al dialogo e al garantismo. Milano, comunque, è tornata a essere un'officina politica".
E se un Philippe Daverio può permettersi di fare lo snob ("Voterò Sacerdoti, l'unico vero simpatico"), resta un fatto: se accadesse il miracolo di Milano riconquistata dal centrosinistra, sarebbe forse l'inizio di uno smottamento nazionale. Non si osa dirlo, ma sognarlo non è più vietato.