Dietro l'omicidio di Lea Garofalo, rapita nel capoluogo lombardo e poi uccisa e sciolta nell'acido, c'è la spaventosa espansione della malavita calabrese al nord. Con delitti spettacolari per imporre il terrore

San Fruttuoso è un quartiere di Monza a pochissimi minuti di automobile da Milano. Ed è qui che è stato sciolto nell'acido il corpo di Lea Garofalo, testimone di giustizia scomparsa proprio a Milano nel febbraio scorso. La Garofalo aveva iniziato a parlare agli inquirenti delle cosche di Crotone e della loro espansione al nord. Sia il sequestro sia l'omicidio dimostrano la potenza della malavita calabrese in Lombardia. Di Lea Garofalo, delle sue dichiarazioni e della 'ndrangheta a Milano si è occupato L'espresso poco dopo la sparizione della donna, nel marzo del 2010, in questa inchiesta di Paolo Biondani che riproponiamo integralmente

INTERATTIVO 25 omicidi negli ultimi cinque anni

Il ricco e riverito imprenditore è tranquillamente seduto al bar, con gli amici, sotto la veranda del circolo ex combattenti. È un pomeriggio d'estate. L'uomo d'affari si alza per chiedere un caffè. Appoggiati al bancone, lo aspettano in due. Sembrano clienti normali, con i giubbotti da moto e i cappuccini caldi ancora da consumare. Lo guardano negli occhi quel poco che basta per farsi riconoscere. Per fargli capire chi lo sta ammazzando e perché. Poi gli sparano in faccia. Quattro colpi di pistola calibro 38. E se ne vanno con calma. Killer professionisti. A volto scoperto.

Non siamo a Locri, Gela o Casal di Principe, ma nel cuore della Lombardia. San Vittore Olona è a metà strada tra Milano e Varese: un laborioso comune di 7 mila abitanti accanto a Legnano, la capitale della mitologia leghista. Vittima di quell'esecuzione in pieno giorno è Carmelo Novella, 58 anni, imprenditore di famiglia calabrese che nella zona controlla imprese di costruzioni, immobiliari, smaltimento rifiuti, sale giochi, bar e perfino un'ex chiesa medievale. Segni particolari: l'antimafia gli ha appena sequestrato beni per 5 milioni di euro. Secondo polizia e carabinieri, è un boss legato alla cosca di 'ndrangheta Gallace-Cimino. Un emergente, forse troppo. Il suo omicidio, il 14 luglio 2008, s'iscrive in una serie nera di almeno cinque delitti di mafia pura commessi nella stessa fetta di Lombardia. Due mesi più tardi, sempre vicino a Legnano, viene assassinato Cataldo Aloisio, che ha 34 anni e un suocero di prima grandezza: Giuseppe Farao, il capoclan di Cirò Marina. Dettaglio rivelatore: il cadavere di Aloisio viene abbandonato vicino al cimitero dove è sepolto Novella.

Dal 1991, dall'ultimo anno prima delle grandi stragi di mafia e dell'ondata di pentimenti e arresti, le cosche del Nord sembravano inabissate. Qualche omicidio isolato, ma nessuna guerra. Anche i pm parlavano di strategia del silenzio: sopra il Po i clan fanno affari, investono soldi, senza sparare, per non creare allarme. Ma ora l'equilibrio si è rotto. Dal 2005 ad oggi sono almeno 25 gli omicidi di chiara matrice mafiosa commessi nel profondo Nord: 15 in Lombardia, 10 in Piemonte. Sono dati raccolti da 'L'espresso', che ha interpellato tutte le Direzioni distrettuali antimafia. Solo tra il 2008 e il 2010 si contano almeno sei delitti mirati in Lombardia e quattro in Piemonte. Padrini uccisi per strada, boss eliminati sotto casa, cadaveri di picciotti incaprettati e bruciati, testimoni eliminati, pentiti sequestrati, probabili vittime di lupara bianca.

Che cosa stia succedendo, lo spiega il pm Roberto Pennisi nell'ultima relazione annuale, finora inedita, della Direzione nazionale antimafia (Dna). "Tra le Province di Milano, Varese e Novara diverse decine di associati di 'ndrangheta, attraverso estorsioni, usura, riciclaggio, omicidi e ferimenti, detenzione illecita e porto d'armi, stupefacenti e rapine sono riusciti ad ottenere il controllo completo del territorio (...) per conservare la gestione monopolistica non solo delle attività criminose, ma anche di interi settori produttivi, commissionando reati di estrema gravità e realizzati con modalità esecutive spettacolari". Un fenomeno "di dimensioni inimmaginabili". Una situazione che, secondo il magistrato della superprocura, "appare del tutto sovrapponibile a quella che negli anni '80 e '90" caratterizzava "il territorio di Reggio Calabria".

La sua analisi, documentata dalle inchieste, è spaventosa. Vent'anni fa era la Calabria l'epicentro dell'"attacco mafioso all'economia". Ora è la regione locomotiva dell'azienda Italia. E se una cosca potentissima, come i Barbaro-Papalia di Platì, è partita all'assalto dell'edilizia e dei lavori pubblici nei comuni a sud-ovest di Milano, scrive sempre la Dna, "ciò significa che ha ritenuto sussistere nel tessuto socio-economico i presupposti per farlo. Il che è particolarmente grave". Una "realtà" che "suscita particolare allarme, specie se si considera che il territorio in questione sarà interessato dalle grandi opere dell'Expo 2015". "Il presagio che se ne trae è tutt'altro che fausto", annota il pm Pennisi, evidenziando in nero quest'unica frase.

In Calabria negli anni '80 e '90 la grande spartizione degli affari leciti e illeciti culminò in una guerra tra clan con più di mille morti. Oggi la 'ndrangheta è diventata una multinazionale del crimine. "Una vera e propria mafia imprenditrice", denuncia la Dna, capace di "imporre agli operatori economici anche in Lombardia la sua necessaria presenza". "Il tutto attraverso intimidazioni, danneggiamenti e roghi sui cantieri, esplosioni, colpi d'arma da fuoco contro altri imprenditori, incendi di vetture di concorrenti o di pubblici amministratori, minacce a mano armata, imposizione di un sovrapprezzo nei lavori di scavo... potendo così contare sulla conseguente condizione di assoggettamento e di omertà della generalità dei cittadini". E questo non è un allarme teorico, ma il capo d'accusa, trascritto dalla Dna, che ha mandato in carcere gli eredi imprenditori di storici boss della droga e dei sequestri di persona, da Cesare Casella ad Alessandra Sgarella.

Al contrario di magistrati e forze di polizia, i politici che governano la Lombardia continuano però a minimizzare. Il prefetto nominato dal governo, Gian Valerio Lombardi, ha accolto la commissione parlamentare Antimafia, il 21 gennaio, sostenendo che "a Milano la mafia non esiste". "Si riferiva alla mafia militare, non a quella economica", ha dovuto difenderlo l'ex ministro Giuseppe Pisanu. Ma indagini, processi e condanne mostrano, al contrario, che a non esistere è il concetto di mafia indolore: i boss che fanno affari, quando serve uccidono. E smettono di sparare solo quando sono ormai padroni di un territorio impaurito.

A Milano, non in Aspromonte, è sparita nel nulla Lea Garofalo, uno dei pochissimi pentiti della 'ndrangheta crotonese. Sequestrata dalle cosche, dicono le indagini dei carabinieri, che ora temono di ritrovarla morta. A Torino, dall'aprile 2009, è scomparso Lorenzo Rocco Ursino, nipote di un boss del clan Mazzaferro trapiantato a Chivasso: per l'antimafia piemontese è un altro caso di probabile "lupara bianca". E quattro mesi fa, a Milano, c'è stato un omicidio in pieno giorno davanti allo stadio di San Siro. Unico movente accertato, una storia di rolex rubati, con uno strano retroterra: la vittima, Giovanni Di Muro, era coimputato e teste d'accusa in un maxi-processo per usura ed estorsioni contese fra Cosa nostra e 'ndrangheta.

Spesso gli omicidi al Nord sono l'onda lunga delle faide al Sud. Ma succede anche il contrario: secondo l'accusa, il clan Paparo, premiato da società del Nord con subappalti in nero per la Tav e l'autostrada A4, spediva da Cologno Monzese i bazooka per la guerra tra le cosche Arena e Nicoscia a Isola Capo Rizzuto. Dopo 15 morti, i capibastone in Calabria viaggiavano su auto superblindate. Quindi, ecco i lanciamissili caricati sui Tir da Milano. Siglata una pax mafiosa, gli Arena hanno festeggiato, secondo l'ultima accusa, eleggendo il senatore Di Girolamo.

Ma perché i cantieri tra Milano e Bergamo devono finire proprio a quel clan, a costo di falsificare i documenti antimafia? Perché anche al Nord, scrivono i giudici milanesi, i lavori edilizi e stradali vengono ormai assegnati "per chiamata diretta dal sistema 'ndrangheta": chi controlla i traffici illeciti in una porzione di territorio, deve dominare anche gli appalti. Le inchieste ipotizzano che anche in Lombardia sia nata una sorta di "cupola mafiosa", per dividersi gli affari. E far rispettare i patti. Forse Carmelo Novella e i suoi affiliati cercavano di scalare la cupola. Fatto sta che il boss è stato ucciso platealmente proprio mentre i giornali titolavano sui miliardi in arrivo per l'Expo 2015. Dove? Giusto nella sua zona, tra Rho e la nuova fiera di Milano.

In Campania il ruolo nazionale della "camorra imprenditrice" viene così descritto dalla Dna: "Una gigantesca offerta di servizi criminali che si nutre di una proporzionale domanda di abbattimento dei costi dell'impresa legale: dalla distribuzione commerciale e agricola ai servizi finanziari, dai rifiuti all'edilizia (...) le organizzazioni camorristiche agevolano le aziende 'sane' con manodopera sottopagata, controlli addomesticati, false fatture, dissuasione della concorrenza, contatti con imprenditori, professionisti e funzionari condizionabili". Ora anche in Lombardia e Piemonte l'ondata di delitti viene collegata, più che a classiche storie di droga, alla "mafia economica". Due esempi fra tanti: a Verano Brianza, il 27 marzo 2008, viene crivellato sotto casa Rocco Cristello, pregiudicato calabrese che stava gestendo una speculazione con i cinema multisala nell'hinterland milanese. Il 6 maggio 2009 a Cavaria (Varese) viene ucciso Giuseppe Monterosso, padroncino di camion ritenuto vicino al clan Madonia di Cosa nostra: secondo i pm di Como, è la vittima di una guerra per il controllo dei trasporti in Lombardia.

Ai 25 morti di mafia in cinque anni ne andrebbero in realtà sommati altri, ancora da chiarire. Come l'esecuzione di un imprenditore delle cave ucciso in ufficio, a Novara, due mesi fa. L'omicidio di un'avvocatessa milanese di cui ora parlano i pentiti. O l'assassinio di un costruttore di Lumezzane (Brescia) per cui è caduta la pista della rapina. Mentre nella vicina Emilia le procure lanciano l'allarme per il "fiume di soldi" riversati nell'edilizia e nel turismo dai clan casalesi e dai boss calabresi (i Bellocco di Rosarno e le cosche rivali di Cutro) e in Liguria per le infiltrazioni di Cosa nostra nel porto di La Spezia.

Come stia cambiando il mondo degli affari al Nord lo spiega, meglio di tante analisi, un interrogatorio che i giudici milanesi definiscono "surreale". Un imprenditore brianzolo viene intercettato mentre si sfoga contro i boss: "Quelli buttano bombe a destra e a manca, vogliono il lavoro con la prepotenza!". Dopo i primi arresti, il pm Ilda Boccassini gli chiede se ha mai subito minacce o pressioni. Il costruttore nega. Quindi il magistrato antimafia gli legge le sue parole intercettate. Eppure l'imprenditore dichiara: "Ma no, era solo un mio chiacchiericcio. Con le mie imprese, i Barbaro e i Papalia sono sempre stati gentili e rispettosi, mai prepotenti. E quindi, nonostante gli arresti per associazione mafiosa, quando il loro socio mi ha chiesto il lavoro, io gliel'ho dato".

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