È lì nel villino Giulia che si custodisce la collezione di arredi e opere d'arte di Maria Angiolillo, scomparsa cinque mesi fa, gran sacerdotessa dei poteri e dei contropoteri, evidenti o occulti, capaci di inciuci, trappole e trame, che hanno gestito, forse più che governato, il Paese per oltre quarant'anni. Vedova di Renato, fondatore, editore del quotidiano 'Il Tempo', homo pre-berlusconianus in salsa fanfaniana che, agli inizi degli anni Sessanta, voleva fondare una tv commerciale, donna Maria, come amava essere chiamata, è stata custode di un format basato sulla segretezza, irremovibile di fronte a telecamere e obiettivi, al contrario di tante vanitose dame, nel non voler mostrare democraticamente il suo set. E il suo tesoro inviolato.
Ora se lo è accaparrato Christie's, ed è un gran bel colpo, ma sulla faccenda non una dichiarazione, non una conferma, non una smentita, insomma, bocche cucite, ancora una volta come avrebbe voluto Maria, e forse i suoi eredi, e così anche la fida governante Teresa e tutti i colf che custodiscono il villino, guai a parlare, ma chi ha visto e sa racconta che l'asta del tesoro si terrà a luglio e dove se non a Londra, crocevia del mercato più illustre e danaroso, e nel bel mezzo della season piena di miliardari di Mumbai, duchi di Bath, italiani d'oro e italiani in esilio dorato.
Quattro piani in tutto, ben tre destinati al karma di Maria: i pranzi e gli incontri che hanno dato celebrità al villino. A scandire il solfeggio degli inviti, un cerimoniale rigido. L'accoglienza del maggiordomo nell'ingresso dalla scala in ottone dorato, gli stucchi bianchi, i muri color burro.
Il vassoio d'argento con i bigliettini del placement dei tre tavoli, Alba, Meriggio e Tramonto a volte, Arcangelo Gabriele e angeli vari a Natale, Stella marina e simili in estate, nel giardino di limoni, pitosfori e violette selvatiche. Al centro dell'infilata dei salotti, uno, due e tre, damasco giallo, aragosta, verde acqua, nella cornice da hotel particulier degno del conte di Parigi, con mobili da palazzo reale, installazioni e opere dello scultore polacco Igor Mitoraj, grande amico, sfavillio di ori e argenti, c'era lei a salutare, sempre agitata: " Sai se Ferruccio sarà in ritardo?" domandava notizie di de Bortoli in arrivo da Milano con Francesco Micheli, ossessionata com'era dalla puntualità. Uno solo autorizzato a non assecondarla, l'amato Gianni Letta, cresciuto al 'Tempo', diventato direttore grazie a lei che lo suggerì a Carlo Pesenti, sempre al tavolo d'onore al suo fianco, ci fosse pure il papa in persona.

Quasi una setta segreta i componenti, fino a quando Dagospia non le rovinò la festa, piazzandogli davanti al portoncino cena dopo cena Umberto Pizzi, un flash dopo l'altro ai big sulla Rampa Mignanelli, senza auto blu e quindi indifesi. La Angiolillo, soprannominata perfidamente da D'Agostino Maria Saura, si dannò per scoprire la talpa chiacchierona che spifferava la data dei suoi pranzi, controllando e incrociando la lista degli invitati seduta nel suo boudoir davanti allo strepitoso secrétaire di lacca rossa e oro, truccandosi nella salle de bain lillà. E consultandosi con alcuni dei suoi grandi suggeritori, Bruno Vespa, Carlo Rossella, Alfonso Dell'Erario, con i quali componeva il mix degli invitati, a seconda del momento e delle serate (tutte minuziosamente registrate in appositi diari, ah, averli!). Non ne venne mai a capo, semplicemente perché erano in tanti a dare la preziosa informazione sperando in future clemenze (di Dagospia).
Tavola delle due Repubbliche, prima noir, poi andreottiana, lib-lab, berlusconiana, ma soprattutto lettiana nel senso allargatissimo dell'affiliazione, la sala da pranzo di donna Maria, tappeti Aubusson, arazzi Gobelin, porcellane Meissen da Palazzo d'Inverno, petit point a go gò e chi più ne ha più ne metta, ne ha viste di cotte e di crude. Dall'Italia di Fanfani e Cossiga, del caso Calvi-P2 (sul quale inciampò Bruno Tassan Din di cui lei curava le pr), fino al Caf (Craxi, Andreotti, Forlani) e al dopo Tangentopoli. Ha sdoganato in società Gianfranco Fini. Ha accompagnato il ritorno nell'establishment di Francesco Bellavista Caltagirone, post scandalo Italcasse (mentre suo cugino Franco, editore del 'Messaggero', invitato per ben tre volte, non ha mai voluto varcare la soglia del villino).
Al suo desco, almeno metà di tutti, ma proprio tutti i governi, persino Umberto Bossi e Maria commentò come si era comportato bene anche se certo, non tutti possono essere dei lord, e si capisce. E poi Walter Veltroni (il debutto quando era direttore de 'l'Unità'), Massimo D'Alema (colazione con i poteri forti per dimostrare che l'uomo era civile), mezza sinistra insomma, Pier Luigi Bersani, Piero Fassino, Giovanna Melandri, a subire la prova del fuoco dei cinque bicchieri e delle quattro forchette o simili (sarà stato un caso, ma quando c'erano i 'comunisti' non mancava mai una strana posata a due rebbi, quella per 'les escargots' e chi l'aveva mai vista, diciamoci la verità, compagni). Forse proprio lì, varcando il famigerato portoncino, la falce e il martello di Fausto Bertinotti sono usciti davvero ammaccati.
Pochissime signore, in casi rari qualche moglie, mai ragazze senza fede (al dito) e fedifraghe potenziali, quindi. Mica erano serate di divertimento, lo scopo era diverso: chiacchierare senza occhi indiscreti, finalmente dopo la cena, rigorosamente francese, tornando su di un piano, dove un'ulteriore sinfonia di salotti e salottini di velluti gonfi di piume, preziose console e specchiere da papa re, aspettavano gli ospiti. Gianni Agnelli, Cesare Romiti, una volta Marco Tronchetti Provera, un'altra Emma Marcegaglia da presidente di Confindustria, il cardinale Agostino Casaroli e anche il cardinal Giovan Battista Re, il potere del passato e del presente, tutti in attesa di appartarsi per aiutare la Provvidenza, risolvere i problemi, fare ammenda, sussurrare emendamenti.
Un'atmosfera ovattata, un'architettura così discreta e perfetta (alla colazione per D'Alema, la padrona di casa, al caffè, lasciò soli i signori uomini) da rendere difficile il vedere chi è seduto nel salotto accanto. Negli anni, naturalmente non sono mancati neanche i grand commis, né Draghi, né Grilli, nel senso di Mario, nel senso di Vittorio.
Così, aggiudicarsi all'asta uno dei quadri della collezione di Lord Chesterfield (proveniente da Chesterfield House), o un pezzo di argenteria russa, o un bibelot di Capodimonte vorrà dire portarsi a casa un tassello di una perfezione estetica che ha fatto da sfondo ai molti misteri della vita politica italiana. Un pezzo di stanze gelosamente ignote finora come il terzo segreto di Fatima.
Il Quirinale si visita. A Palazzo Grazioli chiunque, ormai, può arrivare al lettone di Putin a occhi chiusi. Non parliamo poi di Villa Certosa, di cui si conosce il numero dei cactus presenti nei giardini di bagatelle di Berlusconiland. Il Villino Giulia, no: impenetrabile come Fort Knox. Per Gianni Letta, invece, il paragone azzeccato, scelto il giorno del funerale della sua grande amica, è quello del salotto di Anne Louise de Staël. Con la differenza che a frequentare madame erano Stendhal, Benjamin Constant, Paul Barras, Charles Talleyrand. Da donna Maria, Claudio Scajola, Angelino Alfano, Bruno Vespa.C'è da accontentarsi: di questi tempi è quello che passa il convento.