Ore 9,30, davanti al cavallo della Rai. Nel mio trolley, 155 mila firme di cittadini che richiedono "serenamente e pacatamente", la rettifica di una notizia falsa andata in onda nel Tg1 delle 13.30 del 26 febbraio: «assoluzione per l'avvocato Mills». Ma non si trattava di assoluzione bensì di prescrizione.
Davanti alla Rai di viale Mazzini, con me ci sono un po' di iscritti al gruppo Facebook nato intorno alla lettera "la dignità dei giornalisti e il rispetto dei cittadini"
C'è Piero con i cioccolatini al latte, c'è Francesco arrivato largamente in anticipo perché non si sa mai, c'è Luca con telecamera e macchina fotografica. Ci sono Vittoria, Roberta, Sara, Alessio, Nicola, Giacomo, Pierluigi... Aspettiamo il direttore della Rai Paolo Garimberti e il direttore del Tg1 Augusto Minzolini: ma non arrivano. Arriva invece Fabrizio Del Noce, già paramentare di forza Italia, a lungo direttore di Raiuno e a tutt'oggi dirigente del servizio pubblico. Proviamo a chiedergli semplicemente, se quando un giornalista dà una notizia falsa poi ha il dovere di rettificare, lui svicola: dice «che non si occupa del tg», allora gli ricordiamo che però che però è un giornalista e quindi forse in questa veste un'opinione può averla. Ma lui spiega che no, ormai è un ex giornalista, dice (e anche questa è in un po' una bugia, perché è sempre iscritto all'Ordine). Comunque alla fine capitola: «Se una notizia è sbagliata va corretta». Nessun riferimento al Tg1, però.
Poi arrivano Frano Siddi e Roberto Natale, del sindacato dei giornalisti, e mentre chiacchieriamo con loro si appalesa Francesco Giorgino, caporedattore del Tg1 in quota berlusciniana. Sta uscendo in macchina e appena vede un filo di asssembramento si spaventa e si attacca al telefonino per non essere disturbato. Ci proviamo lo stesso: «Giorgino, scusi siamo 155mila cittadini, avrà letto il "Times" di ieri, parla della nostra richiesta di rettifica. Ecco volevamo sapere una sua opinione...». Giorgino tenta una manovra di aggiramento, noi lo talloniamo, insomma finisce quasi in un inseguimento che rende bene la metafora: da una parte il mezzobusto del servizio pubblico pagato con i soldi del canone, dall'altra 150 mila cittadini che quel canone lo pagano e che della Rai sono comproprietari. Ma non c'è niente da fare: Giorgino non vuol rispondere a una domanda molto semplice sulla rettifica e minaccia pure di chiamare la polizia.
Alle 10.45 ci dicono che Garimberti non è in sede e Minzolini si guarda bene dal venire. Ci riceve quindi il direttore delle relazioni esterner della Rai, Guido Paglia. Un passato da estremista di destra, una lunga carriera al "Giornale" e un abbraccio a Berlusconi negli anni Novanta che lo ha portato a questa poltrona di dirigente del servizio pubblico. «Queste firme non hanno valore legale ma un enorme valore simbolico, morale, civile», gli diciamo. E lui, battutista: «Ma perché, c'è qualcosa di legale in questo paese?». Così il clima si fa meno teso e chiediamo la rettifica, è un nostro diritto, siamo qui apposta. Ma a questo punto Paglia si attorciglia in una teoria tutta sua secondo la quale la sera, alle 20, la notizie è stata data in modo corretto, quindi è come se fosse stata rettificata. Non è così, ovviamente, perché il Tg1 non ha mai ammesso l'errore (diciamo così) dell'edizione precedente, non l'ha citato, non ha chiesto scusa. Questa è una rettifica, in un paese decente. Per Paglia no, per Paglia «è lo stesso, e vabbeh».
Ma il vero momento topico è quando Paglia tenta di sostenere che «per rispetto dell'autonomia del direttore», la Rai non può intervenire. Franco Siddi e Roberto Natale della Fnsi, che sono con noi, lo smentiscono. Ma in ogni caso non si capisce bene che cosa ci stiano a fare la Rai e i suoi dirigenti se non possono dire una parola a un direttore che prima dice una bugia, poi rifiuta di rettificarla e di chiedere scusa.
Comunque alla fine squaderniamo a Paglia le firme, stampate su carta. E lui ancora fa battute, che di questi tempi una valanga di firme farebbe molto comodo. A loro del Pdl, intende dire