La corsa a sindaco di Milano 2011 ricorda Italia-Slovacchia: la sfida tra due squadre deboli. Milano è un paradosso. Domenica scorsa, dal monte Stella, il punto più alto della città, volgendo lo sguardo solo a est, direzione Portello, CityLife, Garibaldi-Repubblica, si contavano oltre 40 gru, alcune gigantesche. Buon segno: lavoro, vitalità, danee circolanti. E invece? Invece l'amministrazione sembra afflitta da una forma di paresi virale che, se fossimo in un telefilm Sky per adolescenti, farebbe stramazzare a distanza, proprio al monte Stella, gli atleti in allenamento.
Paresi su tutto: l'Expo 2015, con il secondo abbandono illustre, Lucio Stanca, e l'arrivo del direttore generale Giuseppe Sala, a sua volta reduce da ampie frustrazioni come city manager comunale; sulla proprietà dei terreni, dove da mesi Roberto Formigoni predica l'acquisto mentre il Comune pare preferire il comodato o l'esproprio; sul Pgt, il Piano di governo del territorio, strumento innovativo minato dalle sfacciate pressioni dei più potenti costruttori, in primis il gruppo Ligresti, dalle ambiguità del presidente della Provincia Guido Podestà ("Il Parco Sud non è un totem") e dal filibustering dell'opposizione a Palazzo Marino che fa mancare il numero legale sia quando serve sia quando nuoce (e quando non lo fa già la maggioranza).
Si aggiungano l'impasse sull'edilizia sociale e sulle periferie, l'incompiuta dell'Ecopass antitraffico, il ritardo dei metrò M4 e M5, il mancato riordino delle società partecipate del Comune, i fantasmi della Biblioteca Europea e del Museo di arte contemporanea, e abbiamo un mesto cocktail con cui brindare al 2011.
Per la prima volta, forse, il centro-destra ha paura di perdere. Ricandidare la criticatissima (dal ministro Tremonti, dai tassisti, dai pensionati in attesa del tram a rischio deraglio) Letizia Moratti? O dirottarla sull'Expo rimpicciolita, salvandole l'onore, come ipotizza "il Giornale"? La Moratti ha risposto secca: "Sono già commissario. Cosa vogliono che faccia, il commissario al cubo?".
Il gradimento per il sindaco, anche nei sondaggi riservati del Pdl, è fortemente calato (girano battute cattive: "Sotto il tailleur niente").
Una ricerca in possesso del Pd fotografa la frustrazione degli abitanti: il 62,7 per cento ritiene che oggi a Milano si viva "peggio" o "molto peggio" di prima dell'era Moratti. E se si analizzano i dati recenti sul voto di Milano-città, il centro-sinistra è più tonico che nel resto della Lombardia. Se alle comunali 2006 la Moratti aveva battuto Bruno Ferrante di 4,9 punti, alle provinciali 2009, nel voto cittadino, il perdente Filippo Penati ha preso il 50,2, più del vincitore Podestà (49,8). Solo il campione Formigoni alle regionali di quest'anno, grazie a un avversario stanco, lo stesso Penati, ha vinto bene anche a Milano-città, ma non oltre il 49. Il che fa azzardare allo storico Mr Sondaggi del Pd, Stefano Draghi dell'Università Statale: "Se si sommano il voto sganciato dalle elezioni politiche, il calo di popolarità del sindaco, la debolezza di Berlusconi e la tenuta del Pd nell'elettorato di città, c'è qualche potenzialità".
La Moratti ha i suoi difensori, ovvio. Il suo è "un mandato naturale di 10 anni", secondo Podestà, che è coordinatore regionale del Pdl: "Ha lavorato bene, perché dovrebbe fermarsi? È indice di serietà ripresentarsi dopo aver avviato una macchina come Expo". Ufficialmente, la Thatcher ambrosiana, sei divorzi di giunta alle spalle, per altrettanti assessori licenziati o accompagnati alle dimissioni e molti malumori tra gli alleati, è l'unica candidata. I possibili antagonisti frenano: Maurizio Lupi avrebbe rafforzato l'area formigoniana del partito e raccolto consensi tra gli operativi della Compagnia delle Opere, ma fa un passo indietro: "Sì mi candido, ma a fianco della Moratti".
L'ex sindaco Gabriele Albertini punzecchia spesso la collega, vince in simpatia, ma ripete di essere impegnatissimo all'Europarlamento. An, con il vicesindaco De Corato, rivendica risultati "lusinghieri" sul fronte dei rom: "record di sgomberi" e "problema sostanzialmente sotto controllo". Quanto alla Lega, dopo aver lanciato un improbabile Bossi per Palazzo Marino, si accontenterebbe di un posto di rilievo in giunta. Oggi ha un consigliere e un assessore, ma Igor Iezzi de "La Padania", neo segretario provinciale, avverte: "Vogliamo il vicesindaco e che il Pdl lo sappia".
Con il nuovo ciclone abbattutosi sull'Expo, arruolati Alain Elkann come consulente per la comunicazione e il giornalista Roberto Poletti in aggiunta a Red Ronnie sul fronte giovani e nuovi media, per entrare nel vivo della lotta è atteso Claudio Velardi ex spin doctor di D'Alema che ha curato l'immagine di Renata Polverini. Su tutto, aleggia un pettegolezzo stellare, quaranta milioni di euro messi sul piatto dal petroliere Moratti per la campagna di sua moglie. Per il centrosinistra "un'opa sul Pdl", che ripianando i debiti del partito ne acquisterebbe una fetta. Cinque anni fa, i milioni impegnati furono sei, "un regalo di mio marito", li definì Letizia Moratti.
Sul fronte del centrosinistra, mare mosso. L'unica certezza è oggi il nome di Giuliano Pisapia. Avvocato e già presidente della commissione Giustizia della Camera, eletto da indipendente in quota Rifondazione, si è candidato a sindaco, spiazzando il Pd. Nella riunione di direzione, subito dopo l'annuncio, il segretario metropolitano Roberto Cornelli non è stato incoraggiante: "Pisapia è certamente stimabile per storia personale e familiare. Però puntiamo a una candidatura che allarghi il consenso. E Pisapia lo chiude entro i confini del vecchio centrosinistra".
Le primarie di ottobre saranno primarie di coalizione, come prevede lo statuto. Ci sono candidati molto graditi alla società civile riformista: il preferito, il sonnyboy è il direttore del "Corriere della Sera" Ferruccio de Bortoli, che già nel 2005 ebbe contatti ai massimi livelli, con Prodi e Piero Fassino, nell'ipotesi di una lista civica, ma oggi si dice e ripete affezionato al mestiere di giornalista. Pare tramontata la stella di Livia Pomodoro, presidente del Tribunale di Milano, corteggiata dal Pd. Sono girati i nomi dell'avvocato Umberto Ambrosoli, dell'economista Tito Boeri. A volte sembra un gioco di società: sabato scorso a una festa in campagna con Giovanna Melandri danzante su Rolling Stones e Deep Purple, un apprezzato giurista osservava in tono mondano: "E tu preferiresti Tito o Stefano?" (i due fratelli Boeri). Tutti loro negano.
Ancora Roberto Cornelli: "Non siamo interessati a lanciare o rincorrere nomi, perché ciò offusca quello che stiamo facendo in questo momento, e cioè elaborare proposte concrete per battere Letizia Moratti nel 2011". Ragionare sul programma: vecchio tormentone. Ma c'è fermento in città. La società civile si mobilita, le associazioni incalzano: il Manifesto per Milano, Siamo Milano, Libertà e Giustizia, incontri, convegni. Il Partito democratico fa sapere che se da questa mobilitazione emergesse un nome forte, sarebbe pronto a scommetterci. C'è chi sostiene che il candidato giusto sia quello "capace di sfidare la Moratti tra il primo e il secondo turno".
All'interno del Pd c'è un progetto che punta a diventare slogan: "Change Milano. Milano cambia". Una rete di esperti italiani e stranieri che formerà il "laboratorio di innovazione civica e politica". Coordinatore è il consigliere comunale Davide Corritore: modello obamiano, radicato nei social network. Ma è solo un laboratorio. La verità ora il partito la cerca tra la gente. E anche, forse soprattutto, tra gli elettori delusi della Moratti.