Certo, non è una domanda che tiene svegli la notte, ma siamo andati lo stesso a cercare una risposta. Scoprendo che dalle battaglie contro Craxi è passato a quelle contro tale Mimì Zinzi per il controllo dell'Udc a Caserta

Negli anni Ottanta, quand'era segretario della Dc, fu protagonista di una guerra senza quartiere con Bettino Craxi per l'egemonia nel Pentapartito e quindi nel governo. Tornato sulla scena, dopo la parentesi giudiziaria di Tangentopoli (da cui uscì indenne) impiegò poco per mettere le briglie al rampante Bassolino, che gli consegnò le chiavi della sanità campana. Con Veltroni, invece, non riuscì a spuntarla e quando si vide negata la ricandidatura in nome andò via dal Pd sbattendo la porta. Adesso in giro si sente poco (almeno a livello nazionale) ma Ciriaco De Mita – che compirà 83 anni il 2 febbraio prossimo - non ha smesso di far politica a modo suo, anzi. Solo che invece di battagliare con Craxi, adesso se la prende con Domenico e Giampiero Zinzi: deputato e presidente della Provincia di Caserta, il primo; co-commissario regionale dell'Udc campano, nonché figlio di Domenico, il secondo.

Per capire meglio, occorre fare un passo indietro di circa tre anni, quando De Mita, abbandonato il Pd, trova accoglienza nell'Udc di Casini.

Candidato al Senato, non ottiene il quorum dell'8 per cento; ma alle europee del 2009 viene eletto con più di 56 mila voti. In quella fase l'uomo forte dei centristi in Campania è Domenico Zinzi, per gli amici Mimì. Uno che ha costruito le sue fortune politiche come assessore regionale ai Lavori pubblici nella giunta Rastrelli ed in quella post ribaltone di Andrea Losco, e che dal 2005 è stato sottosegretario alla Salute nel governo Berlusconi.  Zinzi non vede di buon occhio l'arrivo dell'ex presidente del Consiglio.

E non solo per ragioni di supremazia: De Mita, infatti, è storicamente un uomo di centrosinistra e il timore è che possa ostacolare la prospettiva di un'alleanza organica col centrodestra in Campania, che lui considera “la più naturale” per l'Udc. Ciò nonostante, Casini e  Cesa lo convincono a creare le condizioni per una serena convivenza, sancendo una diarchia di fatto.

Alle amministrative del 2009 l'asse Pdl e Udc, favorito da un'intesa tra Nicola Cosentino e Mimì Zinzi (ma De Mita dà l'avallo per Avellino), conquista tre Province, strappandole al centrosinistra. L'anno successivo l'accordo viene esteso alla Regione.

Dopo qualche perplessità iniziale, e una trattativa sotto traccia condotta col diretto interessato, l'ex segretario della Dc concede il via libera a Stefano Caldoro. E questi, una volta eletto governatore, nomina suo vice Giuseppe De Mita, nipote prediletto di Ciriaco. Zinzi, dal canto suo, diventa presidente della Provincia con più del 64 per cento dei voti. E' proprio allora che l'equilibrio comincia ad incrinarsi, perché De Mita si mette ad intercettare il malessere sul territorio nei confronti di Zinzi e crea le premesse per una sua corrente nel Casertano. I primi ad aderire sono il consigliere regionale Pasquale De Lucia (che, fuoriuscito dal Pd alla vigilia del voto, ha soffiato l'elezione sul filo di lana al segretario provinciale Angelo Consoli) e il consigliere provinciale Eugenio Di Santo, che ambiva ad un posto da assessore.

Più o meno a metà dicembre, l'uomo di Nusco – che condivide con Giampiero Zinzi l'incarico di commissario regionale del partito – rompe gli indugi e provvede monocraticamente all'indicazione di tre commissari per la provincia di Caserta: due zinziani, Consoli e Romilda Balivo; e un suo fedelissimo, Diego Colaccio. In pratica, è il riconoscimento formale della propria componente in Terra di Lavoro. Ma è anche un gesto di sfida assai eloquente, soprattutto tra ex democristiani abituati a considerare il rispetto del territorio come un principio intangibile.  E di fatti a Caserta la vicenda viene vissuta come una sorta di Pearl Harbor.

Giampiero Zinzi dirama un comunicato in cui definisce la nomina «completamente illegittima, non essendo stata condivisa». Per giorni si attende una presa di posizione da Roma, che non arriva. Allora Giampiero fa da solo e con lo stesso sistema autarchico formalizza la costituzione di un coordinamento provinciale composto esclusivamente da fedelissimi. Unica eccezione, il consigliere regionale De Lucia. Il segretario resta Consoli; suo padre Mimì diventa presidente. E' il segnale che il guanto di sfida è stato raccolto, che si è pronti alla guerra. Intanto, resta un dubbio, lo stesso che attanaglia probabilmente gran parte degli elettori casertani dell'Udc: quale dei due organismi è pienamente legittimato ad operare?

Qual è quello riconosciuto dai vertici romani? Abbiamo provato a chiederlo al segretario Lorenzo Cesa, ma non ci è stata fornita alcuna risposta.