Percentuali che fanno invidia al Terzo Polo, e un certo peso da spendere col centrosinistra. È il Movimento 5 stelle; è Beppe Grillo. I commentatori e i politici hanno già sentenziato: i cittadini sono insoddisfatti e stufi della politica, allora votano per chi è antisistema. Come se il sistema fosse ancora quello della politica dei tempi di Ugo Zatterin. In verità non è più così: il sistema oggi è quello della televisione e di internet, cioè della politica di Berlusconi e di Grillo. È l'Italia di oggi, in cui la spettacolarizzazione della politica e della vita quotidiana, rispettivamente attraverso i telegiornali e i reality tv, ha surrogato la concretezza delle esperienze. Sembra che non sappiamo più cosa fare del mondo reale, mentre la narrazione continua del mondo mediatizzato ci spinge allo schieramento conformistico.
In questo scenario hanno séguito coloro che riescono a rendere semplici i discorsi sul mondo, coloro che parlano ai sentimenti elementari. E oggi questo processo di azzeramento del ragionamento critico è sempre più diffuso, sia per il marketing politico usato a fini di consenso, sia per la richiesta costante di far concordare la grancassa mediatica con il discorso del potere.
In questa maniera ci troviamo di fronte a pratiche e metodi di comunicazione che corrispondono pienamente alla semplificazione del sistema del linguaggio sociale. Perciò Beppe Grillo ha successo, perché oltre a farsi politico è un uomo di spettacolo, una sorta di icona pop.
Parole semplici, messaggi contundenti, storielle, uniti a una capacità di dispensare, con il giusto dosaggio, speranza e ottimismo per i giovani, disprezzo per l'avversario. Questa è la ricetta che lo ha elevato prepotentemente a capopopolo mediatico, proprio come Berlusconi.
Così gli italiani che più odiano Berlusconi e non sono in sintonia con i "vecchi" politici da rottamare, apprezzano personalità mediatiche come Beppe Grillo. In questo clima di smarrimento della politica meditata e razionale l'Italia che la gente di sinistra capisce di più è quella degli artisti, dei personaggi tv. In un'epoca di ritorno alle esigenze basilari e in tempi di formazione culturale televisiva, dove lo spirito critico si è spento quasi totalmente, la gente si allontana dalla politica e si riconosce nei messaggi semplificati degli artisti o degli imbonitori televisivi.
I ragionamenti collettivi sono pre-politici e non c'è più consapevolezza della propria capacità di analisi e conoscenza dello stato delle cose collettive. Per questo gli artisti o i volti televisivi diventano politici, perché soprattutto gli artisti sono sensibili alle cose del mondo e cercano di misurarsi con esse, e perché la gente è impolitica. Ciò dimostra l'attuale forza dello spettacolo e la debolezza della politica di professione, cioè il definitivo slittamento del luogo dove la politica ha dimora: dai partiti e dalle sedi istituzionali, alla piazza mediatica.