A parole dice di non voler fare cadere il governo. Ma è furibondo. Sia per il calo alle urne sia per le scelte recenti del premier. Quindi aspetta al varco i ballottaggi, per decidere come uscire dall'impasse

Tutti i nodi vengono al pettine subito, nei commenti, lazzi e mezze parole degli astanti man mano che il risultato prende forma di numeri e percentuali, in quelle otto lunghissime ore in via Bellerio quartier generale della Lega in attesa di un Bossi che stavolta in sala stampa non si farà vedere. Solo alle 11 di sera manderà avanti una seconda fila come Roberto Castelli in bretelle d'ordinanza, che un'ora prima diceva "non so nulla, ero all'estero", e per le tv un Roberto Calderoli in giacca verde, dei colonnelli quello che la faccia ce la mette tutte le volte che serve.

"Mio fratello mica l'ha votata la Moratti, e come lui moltissimi leghisti", dice neanche sottovoce un militante: "E infatti nei consigli di circoscrizione siamo andati un po' meglio", annota per carità di patria. "Ma ti pare che non vanno sulle furie i nostri quando Berlusconi stoppa l'abbattimento delle case abusive o se ne esce con "poverini, al Sud le tasse non le pagano, ma non perché non vogliono"". E la Libia? "Hai buttato bombe e ci sono arrivati i profughi, bell'affare". Uno sogna di fare come la Csu in Baviera, "peccato ci sia di mezzo lo strapotere di Formigoni".
Già il lunedì nero, e più ancora negli incontri del giorno appresso, occhi puntati sì ai ballottaggi ma soprattutto su Pontida, l'annuale raduno previsto per la terza domenica di giugno: "Lì si vedrà cosa chiede il popolo. Il Carroccio è a un bivio: ritornare movimento di lotta o continuare a essere partito di governo?". Come per il Pci d'antan, cui la Lega per struttura e mobilitazione somiglia come una goccia d'acqua, tutti e due i ruoli insieme è diventato complicato giocarli. E poco credibile.

La prima volta, era il '94, Bossi mollò Berlusconi al suo destino "perché mi stava sfilando la Lega da sotto il sedere", spiegò testuale. Costretto dalla legge elettorale, nel 2001 tornò all'alleanza: "Ah, in prima battuta l'abbiamo pagata cara, persi metà dei consensi. Ma per il federalismo questo e altro": il Carroccio rimontò rapidamente, fino a fare nel governo il bello e il cattivo tempo. Ora però il quadro è cambiato. Il federalismo (o almeno quello che era possibile strappare, roba che i catalani si metterebbero a ridere, ma questo passa il convento qui da noi) è praticamente fatto: dei decreti attuativi, ha rilevato Calderoli, "ne manca solo uno tecnico di armonizzazione dei bilanci e quello su "premi e sanzioni"", che in caso di bilancio fallimentare rende ineleggibili per dieci anni sindaci e presidenti di Provincia, e nelle Regioni taglia del 30 per cento i rimborsi ai partiti se ricandidano un presidente dalle mani bucate. "Il federalismo è legge", tuonava il venerdì elettorale "La Padania", facsimile in prima della "Gazzetta Ufficiale". Cioè, ragazzi è fatta, missione compiuta. Tre giorni appresso, però, è arrivata la doccia fredda del voto. L'onda montante è in riflusso, frana sugli scogli delle leggi ad personam del premier, delle sue compravendite di parlamentari, di un'aula costretta a votare che Ruby forse era davvero la nipote di Mubarak, dei pm uguale Br. E dunque, che farà adesso la Lega calante?

L'alleanza con un Berlusconi sempre più oltranzista li danneggia: Milano, cinque punti sotto le regionali 2010, è la punta più clamorosa della frana, ma a Varese il sindaco uscente Attilio Fontana è costretto al ballottaggio, e tutt'intorno nella culla del movimento cede al centrosinistra paesini tipo Albizzate o Vergiate o Brebbia: "Dove abbiamo perso per quattro voti! Umberto era furioso, peggio che per Milano". Da soli, allora? Possono stravincere ad Azzate, 70 per cento all'imperituro Cesarino Monti, senatore, ex-sindaco, terzo mandato dopo la sosta di legge, come Putin proverà a fare con Medvedev.

Possono anche strappare al Pdl il ballottaggio col centrosinistra a Rho cuore del prossimo Expo; ma già nella vicina Gallarate, stracoccolata da Bossi, la consigliera d'amministrazione Rai Giovanna Bianchi Clerici è finita terza, fuori dai giochi. E dove è il Carroccio a trainare il Pdl? A Bologna la "Lega da sfondamento" al 10,7 per cento e il 31,5 di Manes Bernardini non fermano Merola il terùn, come dal palco lo hanno etichettato Tremonti e poi Calderoli. Col Terzo Polo i giochi erano chiusi in partenza. Si mettesse col Pd, dietro la foglia di fico di ulteriori passi verso il federalismo, è assai dubbio che la base seguirebbe. Al più, il corteggiatore Bersani serve per alzare il prezzo col fidanzato Berlusconi: non sono sfuggite ai cremlinologi (via Bellerio è come il Cremlino di Breznev, va decifrata dai dettagli) pagina 2 e 3 taglio basso della "Padania" proprio martedì, su "Bersani torna a tentare il Senatùr", prima con l'intervista "su richiesta del segretario Pd", quando si dimostrò "oltremodo generoso" con "una proposta in un certo senso anche allettante", e ora che "sembra proprio tornare all'attacco". Come una signora un po' ammaccata dopo un brutto scivolone, la Lega minimizza, si rifà in fretta il trucco e rivendica che ancora piace a tutti. Occhio a non soddisfarla: "Se Silvio vorrà i nostri voti al ballottaggio ci dovrà motivare con forza": Salvini vicesindaco a Milano, e subito riforme pesanti come il Senato federale, e ministeri al Nord, slogan pronto per Pontida.

Bene nell'immediato, e poi? "L'alleanza non è organica tra Lega e Pdl, è più un rapporto Bossi-Berlusconi", confidano. Dopo si vedrà. Il futuro del Cav. non lo vedono benissimo, e la stessa ipotesi che Bossi si ritragga a "padre nobile" e lasci il timone ai colonnelli, in privato è vista come "possibile"o addirittura "ragionevole, le forze di un uomo non sono infinite". Nuova fase, nuovi uomini, in un radicale rimescolamento delle carte. Per uscire dall'impasse in cui la sgangherata megalomania del premier sta trascinando, col centrodestra, anche la Lega.

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