Al governo con chi accetta la sua agenda. Nella conferenza stampa di fine anno il premier dimissionario smette i panni del tecnico per indossare l'armatura del guerriero. E lancia bordate contro Berlusconi. Chi lo immaginava capo dei 'centrini' era fuori strada. Perché il Professore punta a scomporre i vecchi schieramenti, costruiti sulle ideologie per ricostruirli su un programma di modernizzazione
Ho fatto un gigantesco passo in avanti, no?», domanda alla fine alzando il calice con i suoi ministri nella grande sala che affaccia su via del Corso intasata per lo shopping natalizio. Incrociano i calici Elsa Fornero e Filippo Patroni Griffi, napoletano superstiziosissimo. Paola Severino è raggiante: «Sei stato coraggioso».
La conferenza stampa di fine anno del presidente del Consiglio è terminata da pochi minuti, occorre riavvolgere il nastro all'indietro per godersi appieno una scena mai vista, il tecnico che si fa politico, il professore che indossa l'armatura del guerriero, il super partes che entra in pista, il capo del governo dei senza partito, il più alto dei "notabili a disposizione", come li aveva definiti un mese fa Ernesto Galli della Loggia sul "Corriere", che dismette i panni del salvatore della Patria per trasformarsi nel gran federatore, il costruttore di un nuovo super-partito, né di destra né di sinistra, perché, spiega, «l'asse non passa più da queste distinzioni ma dalla volontà di cambiamento». Ed è sventolando questa bandiera che Mario Monti oggi si candida a «salire in politica». Lo dice in latino: «erga omnes», rivolto a tutti. Lo ripete in inglese, citando l'Economist: «True Progressivism». Chi sono i veri progressisti.
Nella sala polifunzionale di largo Chigi, la stessa della prima conferenza stampa del governo Monti, quando fu annunciata la riforma delle pensioni tra le lacrime della Fornero e le gaffes di Passera («cara Emma... volevo dire Elsa»), i ministri al gran completo scattano in piedi quando entra il presidente del Consiglio accompagnato dall'inseparabile Federico Toniato. Monti ascolta con attenzione il lamento del presidente dell'Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino sui 307 giornalisti minacciati dalla mafia nell'ultimo anno e sulla «schiavitù» di tanti colleghi, poi sale in cattedra. Qualche incertezza su come sistemare il leggio e poi si entra subito nel vivo.
«Posso ora rivelare», racconta il premier, «che quando sono entrato in carica la situazione era drammatica. Ai primi vertici europei mi venivano in mente le parole di De Gasperi dopo la guerra, nel 1946: sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me». «Per questo», attacca subito, «non si possono accettare le parole di Alfano che mi ha accusato di aver ceduto a una parte, il Pd, e che oggi l'Italia sta peggio di un anno fa. Le parole pesano, per chi le ascolta e per chi le pronuncia». E dato che le parole pesano, chissà con quanta cura Monti ha scelto quelle da usare questa mattina. I capi di imputazione per quella che fin dalle prime battute si annuncia come la più dura requisitoria pronunciata da un presidente del Consiglio contro un suo predecessore: l'onorevole Silvio Berlusconi.
«Sento di dover dire nei suoi confronti una parola di gratitudine e di sbigottimento», inizia. «C'è stata con lui cordialità, ma ora faccio fatica a seguire la linearità dei suoi ragionamenti...». E poi via con lo stillicidio di colpi: perfidi, affilati, cattivi come solo un professore british sa essere. Berlusconi ha «un quadro di comprensione mentale che mi sfugge». Berlusconi vuole togliere l'Imu, «ma se si farà un provvedimento del genere il governo successivo, non dopo cinque anni ma dopo uno, dovrà rimettere un'Imu doppia». Berlusconi ha raccontato che quando prendeva lui la parola al Consiglio europeo restavano tutti ad ascoltarlo, «non era vero, si è passati dalle pacche sulle spalle ai sorrisini in faccia», «gli italiani non possono essere trattati da cretini». Finito? No, perché già che ci siamo Monti ricorda che «l'evasione fiscale sono privati che mettono le mani nelle tasche di altri cittadini», «i festini irriguardosi che hanno determinato lo screditamento della politica» e perfino la concezione della donna in Italia «umiliante anche in elevatissime figure pubbliche». E annuncia di voler ripristinare il reato di falso in bilancio e invoca una legge severa sul conflitto di interessi, «megli leggi ad nationem che leggi ad personam». Neppure un Professore dichiaratamente ostile a Berlusconi e altrettanto sulfureo di Monti come Romano Prodi era arrivato a tanto.
Scavato un fossato incolmabile tra lui e il Cavaliere, scansato il pericolo che Berlusconi possa dire ancora una volta: il programma Monti è il mio, dov'è che si firma?, il premier passa a ciò che più gli interessa. Si candiderà o no alle elezioni? «Se ragionassi in termini di convenienza personale non dovrei fare nulla», ammette con allusione al Quirinale che gli è stato promesso da più parti in cambio della neutralità elettorale. «Ma per me è un imperativo morale cambiare il Paese», e qui sembra replicare a D'Alema che considera «moralmente inaccettabile» il suo impegno.
E per cambiare il Paese bisogna che «i cespugli riformisti», oggi tenuti soffocati nei diversi schieramenti, escano allo scoperto, all'aria aperta. Da Lucia Annunziata, un'ora dopo, sarà ancora più esplicito: ci sono identità riformiste che sono prigioniere di «scatole, involucri». Partiti. Sindacati. Lobbies. «Adesioni cieche a ideologie nobili ma oggi perniciose». A destra, dunque, ma anche a sinistra. Prendiamo il mercato del lavoro, dice Monti. «La volontà di riforme è l'unico filo che ci interessa, non una catena che inchioda al passato, con l'arroccamento a forme di tutela che oggi penalizzano i lavoratori». E per essere più esplicito il premier cita le misure sul lavoro che vorrebbe ai primi punti di un suo programma di governo: contratto unico, fine del dualismo tra protetti e non protetti, spostamento al livello aziendale della contrattazione collettiva, flex-security: il modello di Piero Ichino, che proprio ieri ha annunciato di non volersi ricandidare nel Pd. C'è la Cgil che frena, spiega Monti. E Vendola? «Si legge e si ascolta sempre con piacere. Ha detto di me che sono un liberale conservatore. Si sbaglia: io sono un liberale, ma il conservatore è lui».
Prende così forma l'Agenda Monti, chiamata «Cambiare l'Italia, riformare l'Europa: agenda per un impegno comune». Pomposo? Certamente. Ambizioso? Di più. Arrogante? Un filo. Ma chi ha pensato che Monti potesse fare il capo dei centrini, nei giorni scorsi, era fuori strada. Il progetto è molto più ad ampio raggio. Riguarda tutti, destra e sinistra, il Pd e il Pdl ma anche il centro immobile, post-doroteo, che voleva lucrare con il suo nome un piccolo vantaggio elettorale. E dunque scomporre i vecchi schieramenti, costruiti sulle ideologie e sulle appartenenze, e ricostruirli su un programma di modernizzazione. Un appello che nell'immediato devasta il Pdl ma che in prospettiva, nei prossimi giorni, potrebbe aprire la contraddizione nel cuore del Partito democratico di Bersani. Per dirlo, Monti cita il settimanale inglese: «True Progressivism: a new form of radical centrist politics is needed to tackle inequality without hurting economic growth...». I veri progressisti. Quelli di Bersani a giudizio di Monti, forse, non lo sono abbastanza.
Il nome di Monti sui simboli non c'è, almeno per ora, la candidatura forse, «un apprezzamento, un incoraggiamento, una guida», elenca il professore attento a segnare la gradualità, il calore della sua presenza in campagna elettorale. E qualcosa di più: l'ex burocrate senza volto ci mette la faccia, il gelido uomo dei numeri ignora per una volta grafici e tabelle e si getta nella mischia. E man mano che va avanti, lo sguardo che lampeggia, la mano che si alza ad artiglio, più piovono le metafore fisiche, «spalle larghe, schiena dritta, cervelli che combaciano...» (e la replica a Tremonti sul governo «accucciato, a quattro zampe», che resta a mezz'aria, per fortuna), più si vede che Monti lancia in gioco oggi qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. Non solo il suo nome, la sua intelligenza, la sua competenza. Qualcosa di ancora più sorprendente. Il suo corpo.
L'Agenda e il Corpo. Il programma e la persona. Il progetto e il leader. Per liberare «energie nuove che vanno scatenate», ripete nel finale. La parola passa ora ai partiti. Di Berlusconi si è vista la reazione: è già match elettorale, Silvio sbraita contro Giletti, entra nelle case degli italiani nella domenica pre-natalizia come Hannibal the Cannibal, trattenuto a stento nella sua furia. Bersani è il solito muro di gomma, per ora: vedremo, «le nostre priorità sono moralità e lavoro». Ma la sfida del premier riguarda anche lui. E Renzi cosa farà? Da oggi c'è un Monti tutto nuovo in campo. Il corpo di un leader che promette di volersi muovere senza confini.